Quasi un terrore antico
Conoscevo Alberto Toni da anni, e con lui sua moglie Patrizia, a cui ha dedicato tanti versi e l’intera raccolta Poesie per Patrizia.
Ci scambiavamo i libri, conoscevamo le nostre case, parlavamo insieme di poesia, ci incontravamo alle letture.
Io leggevo le sue raccolte, ma non le capivo fino in fondo. Non capivo l’origine di quell’ansia che traspariva dalla sua persona, una specie d’impazienza di vivere, un nervosismo misto a fierezza che non riusciva a non tradire, seppure il suo sguardo dietro gli occhiali e tutta la sua persona esprimessero benevolenza nei confronti degli altri.
Quando ho letto la bella e intensa introduzione e postfazione di Roberto Deidier a quest’ultima sua raccolta, Tempo d’opera, e poi ho avuto modo di parlare con sua moglie Patrizia, ho saputo che, dietro la sua scomparsa improvvisa, c’era un problema che aveva un’origine lontana, e che questa esperienza di malattia aveva provocato in lui un’eterna idiosincrasia con i medici e un motivo d’inquietudine.
Dopo averlo appreso la sua poesia mi è apparsa più chiara.
Chiaro il momento della giornata che ricorre più spesso qui: l’alba, che annuncia il mattino:
Le cinque: si apre il mattino e primo il merlo,
poi il tordo sassello prima luce e la cincia.
L’ultima linea di fuga è per me di domani,
al sole del primo mattino (p.70)
amore quando volgevamo lo sguardo
al primo mattino senza fretta. (p.92)
Ne parla anche una dedica:
A mia sorella Alba (p.90)
che in questo contesto potrebbe apparire una fratellanza anche simbolica.
Elemento fondamentale di questa poetica è il tempo, che è stato scelto molto a proposito per il titolo della raccolta: Tempo d’opera.
Il tempo qui è protagonista:
Saresti così gentile, chiedo, saresti così gentile
da ricordarmi la vita, tutto il tempo che ho trascorso, (p.19)
e il leccio capirà
che c’è un tempo per tutti e il tempo è caro, (p.21)
Tutto adesso, perché giusto
è il tempo. E non c’è tempo,
se non nel restare, mondo. (p.27)
All’universo dico: è il tempo del ramo e dell’ultima semina,
qualcosa che verrà, e meno stanco di adesso, (p. 29)
Tu prendila come l’idea stessa del tempo […]
Lo spazio è limitato come il tempo. (p.41)
Ritornava, se ritornava, dentro il suo tempo,
giovane nel suo tempo, inconsumato, la breve vita, (p.45)
Dovevi forse saperlo
e ti è sfuggito tra le mani, un tempo d’opera e le mani
che cercano di dirlo, (p.54)
Il tono è inesorabile, il ritmo sincopato, reso incalzante dalle virgole che si susseguono:
Quel bel ricordo, teniamolo quel bel ricordo,
riprenditi la vita, sentivo, tra quante ne abbiamo, (p.104)
Lo stato fisico è quello del battito incontrollato, lo stato d’animo – quello del terrore, timore, tremore, turbamento, ansia, tensione:
E la paura che prende, quasi un terrore antico, (p.31)
Certe volte cade in mezzo alla stanza un battito incontrollato
del cuore, un vento spazza anche gli ultimi. (p.54)
Ma al battito, che dire,
bastava un niente per lui, riaccendersi, (p.55)
Non altro che questo: un timore strano,
insolito, strappato alle maglie del giorno.
[…] Ma d’un tratto, proprio nel mezzo
del giorno riecco nel furore adamantino,
tremore andato perso, ritornato in tempo
magari per qualche istante fino a sera. (p.72)
Preso, io, da furore, o chiuso e impenetrabile, (p.74)
A me bambino questa frase
provocò ansia e da allora
ti guardo per capire, (p.76)
Vieni domani e portami
nuove cose da leggere, sai
temperare l’ansia con eleganza. (p.104)
Avevamo altre domande,
tremori che ora so tra strade antiche
una via d’uscita, (p.79)
un’aria mi cresce dentro,
un motivo, lo sconosciuto ardore, ma
di lato, speciale, come un timore lento
e inafferrabile di parole pronte all’uso. (p.101)
Alberto era amico di Giovanna Sicari. Avevano studiato insieme a Lettere, preparato esami insieme. Erano coetanei, e si erano confessati entrambi di essere poeti, di scrivere. Si dicevano: pensa quando in libreria ci saranno anche i libri nostri, col nostro nome inciso in copertina…
Roberto Deidier a un certo punto sottolinea questa comunanza, che include anche se stesso, quando scrive “di un incessante addestrarsi alla poesia”, cioè della poesia come esperienza, rigore, coerenza, ragione di vita.
In questa raccolta c’è sicuramente un’eco dei versi di Giovanna Sicari, soprattutto della sua ultima raccolta, uscita pochi giorni prima che morisse: Epoca immobile. Anche qui, nel titolo, c’è un riferimento preciso al tempo.
non tremavamo all’ombra dell’idea, del destino veloce,
della sfida ogni giorno e della passione. Tu lo sapevi?
Proprio nell’ultima poesia della raccolta è presente il tema in comune con Giovanna degli uccelli, simbolo della vita che si perpetua, risorge anche dopo di noi, e l’accettazione del dopo di noi che questa apertura comporta:
Che sia la prima aria fresca del mattino
e il canto gioioso degli uccelli, (p.106)
Alberto amava la pittura e amava il verde, inteso come giardino, natura, salvifica in tutte le sue sfumature:
Stamattina amavamo il verde
lungo via Nomentana, (p.79)
Tutto questo verde della salvezza non è consumato? (p.95)
Mi resterebbe un passo di verde antico (p.99)
un verde chiaro chiaro
che non mi attira. (p.105)
Del verde è la morbidezza, che il poeta inseguiva:
Ho sempre inseguito un tempo così, morbido e di pastello.
Erano i platani del Lungotevere, (p.60)
Diamoci quel tu morbido.
La fierezza è ancora viva
e porto scarpe morbide. (p.76)
Passano, e vita è dedicarsi con amore, piano
che vita nel suo farsi è tenerezza, (p. 86)
Il tema della morbidezza, e così anche quello del verde, si legano istintivamente alla fragilità, alla tenerezza e al sentimento amoroso:
Ecco, con te rose, non una volta
e tenerezza […]
Là ti cercavo con l’indice allo stremo,
tra le forme mutevoli del nostro amato verde. (p.88)
Patrizia è sostegno, colei che tiene tutto insieme, e Alberto la vede come la tessitrice di un senso più profondo e salutare dell’esistenza, una paziente e costante Penelope.
Vedo non vedo nel cucito la trama piccolina delle tue mani. (p.75)
Prendimi, su, raccogli la mia tenera ombra e l’ombra della preda
tutte le cose viste,
prendile, per me solo,
prendile nel tuo palmo,
tagliale senza paura,
poi servono, ti dirò, a non dimenticare. (p.91)
E sopportava, lei, con sopportazione
di madre, non un gesto che potesse tradirla. Lei
tra le antiche rose della città dei primissimi passi. (p.95)
tu mi resti accanto a ricucire,
a riprendere in mano il filo nuovo del discorso,
a stare. (p.99)
Dimmi tu, fammi da sostegno,
riaprimi nella stanza dopo tutto
il tempo. Ti stringo forte come
a non perdere niente, (p103)
Vieni domani e portami
nuove cose da leggere, sai
temperare l’ansia con eleganza. (p.104)
Il dipinto di Enrico Luzzi in copertina: due paia di scarpe maschili che s’inseguono su sfondo giallo senza la persona che le calzi, sono un’immagine viva di quel che deve capitare, con il contributo di tutti quello che restano e che possono diffondere le parole di chi è scomparso, a un poeta. Continuare a camminare, anche senza che il corpo sia vivo, con la propria opera.
Alberto Toni, Tempo d’opera, a cura di Roberto Deidier, Il ramo e la foglia edizioni, Roma 2022.
Annelisa Alleva
Roma, 14 aprile 2023
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