venerdì 27 gennaio 2023

AILANTO n. 71 - su Bianca Tarozzi

 



Bianca Tarozzi congeda una nuova raccolta di versi, per la sigla editoriale che lo scrittore Andrea Molesini ha scelto di dedicare esclusivamente alla pubblicazione di libri di poesia e sulla poesia. Ci ha messo il suo nome ed è nata Molesini Editore con sede a Venezia. Di quest’autrice, che nella Serenissima aveva già pubblicato La buranella (era il 1997, per Marsilio, in una bella collana curata da Giovanni Raboni ma che ebbe breve vita), appare adesso Devozioni domestiche, con un risvolto di copertina di Alfonso Berardinelli, da sempre suo convinto lettore. Il titolo rimanda subito a Brecht e in effetti la poesia di Bianca Tarozzi si presenta per molti aspetti estranea, o comunque a latere, rispetto ai flussi che dal tardo Novecento sembrano essersi imposti con più decisione, e che per buona parte ripetono, spesso in un sostanziale epigonismo, tendenze orfiche, ermetizzanti, o al contrario limpidi esercizi di metrica e triti bozzetti. 

Si comprende, a fronte di questo panorama spesso avallato da editori compiacenti e da critici poco avveduti, se non assenti, quanto la ricerca poetica di Tarozzi fatichi a imporsi e a guadagnare le attenzioni che merita, in sede anche storiografica; i lettori, per fortuna, non le mancano, e si tratta di attenzioni di prim’ordine. Chiunque volesse attraversare quel panorama, per poi trovarsi ad aprire Devozioni domestiche, si sentirebbe in effetti spiazzato, come portato in una tradizione altra, ma riscritta in una lingua cantabile e affabile, in cui non tardiamo a riconoscerci. È una lingua protonovecentesca, giunta miracolosamente indenne fino a noi e ancora capace di esprimere al meglio ogni sua potenzialità, ogni gamma dei suoi registri. A una prima lettura l’impressione di un revival crepuscolare può giustificarsi con la semplicità delle immagini, con l’assecondare una corrente narrativa che si impone infine come tratto dominante; ma a ben guardare, e guardando anche alle letture e alla formazione dell’autrice, si intuisce presto che quella tradizione altra è comunque ben circoscritta, e va a identificarsi nella ballata di origine inglese e americana, di cui queste composizioni sono una decisa, originalissima reinvenzione. 

Rimodulando a suo modo quel filone così denso e fertile, e contaminandolo con altre luci di quella costellazione (penso anzitutto a Elizabeth Bishop, a Robert Lowell, James Merrill e più indietro a Housman, Emily Dickinson), Tarozzi riesce in un’operazione assai ardua nella lingua italiana: quella di dar voce al pathos, ai moti più intimi senza scadere nella facile retorica o nell’assuefazione del già detto. Se c’è un poeta, nella nostra tradizione, al quale possa essere imparentata questa scrittura, mi viene in mente Saba, la sua coraggiosa leggibilità, nel cuore di un Novecento lirico spesso sibillino; ma in lei il dosaggio delle rime e quasi rime è così accorto, segue la misura pudica di chi non ha bisogno di ricorrere a giochi linguistici o esclamazioni gratuite, perché sa che l’esattezza della parola (una parola che «può salvarti», che « ritorna inaspettata» per nutrire «come pane») è già la consolazione della poesia, è già memoria che custodisce e lascia riaffiorare, in questi versi che davvero ci suonano familiari e pieni di presenze una volta consuete, le immagini che supportano il nostro sentire. Un grande lettore come Luciano Anceschi scriveva nel suo ultimo libro, Gli specchi della poesia, che non può esservi originalità nello scrivere versi, poiché ogni poeta ci restituisce, pur nella sua personale prospettiva, ciò che è ovvio. Ma è proprio questo il punto: fare sì che quella prospettiva torni a ricaricare di senso ciò che lingua altrimenti sedimenta nella ripetitività del tempo. Così lo splendido album di Devozioni domestiche si lascia sfogliare, con la naturalezza di una malinconia che già si allontana, spostandoci negli spazi di un’infanzia e di un passato che diventano, inevitabilmente, anche nostri.

 

Bianca Tarozzi, Devozioni domestiche, Molesini Editore 2022, e. 15.00.

 

 

Esortazione

 

Tu non cedere,

non dire che è impossibile,

vienmi incontro, così

a macchie grigie e blu,

così sgrammaticato e miserabile,

così Arlecchino, tu,

amore, nuovo giorno!

 

Che cosa cerchi infine?

È tutto qui –

noi ti guardiamo,

vogliamo che ci vedi;

mettila via

qualunque cosa sia,

vieni con noi,

non dire che non puoi.