L’ultimo
libro di Giampiero Neri, del 2012, ruotava intorno al personaggio del titolo, Il professor Fumagalli, a cui si
aggiungevano altre figure: ovvero
immagini che si facevano storie, centrate su personaggi recuperati dalla
memoria o dalla cronaca. Al «teatro naturale» e ai «paesaggi inospiti», per
riprendere altri due titoli di Neri, succedevano così le ambientazioni della
provincia novecentesca, al cui interno quelle «figure» cominciavano a chiedere
lo spazio della scena, facendosi sempre più fitte, quanto a presenza, e anche
più insistenti. Con il nuovo libro appena apparso da Garzanti, Via provinciale, il poeta allestisce in
forma di prosa la sua galleria proustiana, e ci mette a contatto con una
congerie di ulteriori figure. Torna, fra queste, proprio il professor
Fumagalli, accompagnato da nuovi attori e nuovi ricordi; dalla precedente
raccolta Neri va come mettendo a fuoco, in un processo di complessa definizione
del vissuto, i piccoli affreschi privati, dietro i quali si avverte, in una
sorta di movimento ridondante quanto necessario, la macchina della grande
Storia. Ogni minimo evento va infine a collocarsi su quello sfondo ineludibile.
È
notevole, nella rievocazione, che la distanza del tempo sia come colmata dai
frequentissimi imperfetti, che scandiscono un vero e proprio moto affettivo
verso quel passato, riprodotto come consuetudine, come una geografia
sentimentale. Sulla «via provinciale» del titolo passano storie che talvolta si
intrecciano, talvolta restano come piccoli bozzetti isolati, rapidi flashes che
il puer continua a suggerire, e ad
agitare, nel senex. E allora viene
anche da pensare che queste poesie in forma di prosa siano in realtà come i capitoli,
o i tasselli, gli episodi, di un possibile Bildungsroman,
frammentario come la poesia eppure coerente e unitario nel suo complesso procedere
di libro in libro. Nella chiamata a raccolta di tutte le suggestioni, apparizioni,
forse anche visitazioni oniriche che la scrittura riconsegna alla luce
meridiana della memoria, il poeta ricostruisce ciò che il tempo e gli affetti
hanno selezionato e decostruito; realizza con la pacata esattezza del proprio
dire una precisa geometria filmica, la figura totale che ambisce a contenere un’intera
esistenza, e attraverso questa, le altre esistenze che ne hanno fatto parte,
anche solo nello spazio infinitesimo di un gesto.
La
provincia rimanda inevitabilmente a tanti scenari della nostra poesia dialettale
più recente, e questi personaggi potrebbero richiamare, per esempio, quelli di
un Raffaello Baldini, almeno nel loro succedersi. Ma non ne hanno il movimento,
e neppure l’espressività: qui la strada è tutt’altra. Neri somiglia più a un
Giotto che cerca di fissare sguardi e azioni nei contorni della linea; riconsegna
le sue figure a un italiano che viene prima di quei dialetti e che continua a
rappresentare una sfida autentica per i poeti a cavallo del millennio. Oppure,
come scrive Antonio Riccardi nel risvolto, Neri ha «la precisione vertiginosa e
inquietante di certa pittura fiamminga». È, in ogni caso, una sfida che sa di
aver vinto da tempo.
Giampiero Neri, Via provinciale, Garzanti 2017, e. 16.00.
In
quella guerra, che metteva in gioco la sopravvivenza della Repubblica, Pompeo
aveva la difesa come causa, mentre l’altro, Cesare, non aveva per causa che se
stesso. «Una causa che basta in tutto», aveva scritto Cicerone «solo che non è
una causa.»