Con la consueta, pensosa leggerezza che segna il suo tracciato poetico, Vivian Lamarque congeda per lo Specchio mondadoriano questa sua ultima prova, L’amore da vecchia, che a dispetto del titolo, come rileva Maurizio Cucchi nel risvolto, si presenta con versi «vivaci e freschissimi». Vorrei subito fugare un possibile equivoco, a proposito di questo titolo apparentemente contraddittorio, quasi scandaloso, fuori norma, perché l’amore di cui si parla in queste poesie trascende la dimensione puramente sentimentale o fisica per apparire piuttosto in tutta la sua ampia e distaccata saggezza. C’è l’amore per la natura, per il paesaggio anche urbano, per le figure note o sconosciute che lo popolano e lo attraversano, incrociando lo sguardo dell’autrice; c’è l’amore famigliare, rivolto a personaggi che appartengono alla storia privata di Lamarque; c’è anche - come sogno, proiezione, desiderio che esprimono una vitalità mai sconfessata – l’amore che dalla gioventù e dalla maturità tracima senza soluzione di continuità in quell’estrema stagione che ci lascia inermi davanti al pensiero della morte.
Tutta questa rete di immagini e temi, ancora una volta, si esprime e si risolve non senza ironia, che è sempre una forma della presa di distanza; dietro la scanzonata baldoria delle rime, dietro i ritmi da arietta che hanno più volte fatto riecheggiare i nomi di Saba e ancor più di Penna, traspare in realtà un sostrato ben diverso, e a guardare meglio la forma di queste ultime poesie si slabbra, rinuncia al rigore della tradizione, quasi esplode senza più contenere il mondo lirico che in quella stessa forma cercherebbe una sua giustificazione. Non è un caso che, più che nei libri precedenti, quella tradizione che dai classici approda nel cuore del Novecento sia qui esibita senza camuffamenti, quasi a ribadirne la possibilità di rottura, non in senso eversivo ma correttivo: «Quale amore in queste poesie?», si domanda il poeta sulla soglia del libro, e l’elenco è invero vasto, fino a trasformare quello stesso amore in una specie di sapienziale understatement. Insomma, c’è coerenza con quanto Vivian Lamarque ci ha finora consegnato, ma c’è anche un punto di svolta, se «l’immaginazione non riesce più a immaginare /ora procede per una strada oscura» (Lugete o Veneres).
In questo sentiero oscuro, che prefigura un Ade sulla cui soglia intravediamo perfino la Parca (Filo da ricamo), l’autrice, armata soltanto della sua matita affilata, cerca di trattenere sul foglio la «fuggevole vita» le cui rappresentazioni si proiettano come su uno schermo cinematografico. Una intera, riuscitissima suite, si intitola proprio Come nel film. Una vorticosa carrellata, che da Lamorisse arriva fino al recente Nostalgia, interpretato da Favino per la regia di Mario Martone, ripercorre un settantennio di titoli esemplari attraverso cui Lamarque ricostruisce per interposta immagine un percorso esistenziale, come in un viaggio sentimentale. E proprio come una pellicola la poesia si lascia svolgere e mai del tutto riavvolgere, in questi testi che restano spesso aperti con domande di una tenerezza lancinante, di una verità disarmata.
Vivian Lamarque, L’amore da vecchia, Mondadori 2022, e. 18.00.
La lampada
Quella sera quel gesto
di spegnere la luce
allungando un poco
verso la lampada
la mano
quella sera che da sola
si spegnerà la nostra luce
che ne sarà dell’ultimo
pensiero? Resterà lì
sopra il letto sospeso?
O scalerà la luna
ove quel che qui si perde
là si raduna?