È
ancora possibile raccontare una crisi, quel «limite che entra nella vita» e che
«come una lama non fa male»? Paola Loreto, con case / spogliamenti ha cercato di circoscrivere non le immagini, ma
il racconto interiore di una crisi, che sembra partire da una circostanza
relazionale e che invece finisce per accamparsi sull’intero territorio
esistenziale dell’io narrante. Ha dato così vita a un libro- sosta, o a un
libro-tappa all’interno del suo percorso di poeta, ripiegandosi in un dettato
astratto, lavorando con poche, essenziali pennellate rigorosamente in bianco e
nero, rinunciando al colore. Otto sezioni senza titolo, con un Post-scriptum e un congedo scandiscono questo nuovo libro, apparso nella collana delle
«Licenze poetiche» dell’editore Aragno. Quell’indicazione finale, la sola che
l’autrice concede al suo lettore, ci fa pensare a una sequenza epistolare in
forma di diario lirico, ma il destinatario è assente o si affaccia
sporadicamente, sì che quella crisi finisce per ricadere per intero sul
soggetto, lo avvolge in una sorta di bozzolo, di crisalide che prelude a una
rinascita, a una risoluzione.
I
termini della crisi sono definiti nella poesia d’avvio: il confronto con se
stessi, feroce e ineludibile, la contemplazione impotente di quanto accade,
«inevitabile», sotto uno sguardo che può solo rivolgersi frontalmente. Ma lo
spazio della contemplazione è sempre più complesso del fenomeno osservato, e la
visione non si scinde mai dal pensiero. Un pensiero critico, naturalmente, che
ripercorre i piani dell’esperienza, i grumi dispersi di una storia, non con la pietas della memoria, ma con la severità
dell’analisi. Per questa strada è ancora possibile approdare a un «sapere»,
difficile e poco addomesticabile, che è anche «cancellazione», «oscuramento».
Ancora una volta la visione della propria verità acceca, accompagna il soggetto
nel buio di una coscienza che per questo deve mantenersi vigile.
Eppure
non è solo per via analitica, o razionale, che può indicarsi la via d’uscita.
C’è anche, e soprattutto, un «lasciarsi vivere», un affidarsi al flusso
dell’esistenza. Il pensiero del futuro, e della liberazione, è,
leopardianamente, un pensiero sentimentale, non certo un atto di volontà. È
ancora il cuore a dominare la scena e la scrittura, a farsi carico
di compilare «il nulla», di allestire il regesto della crisi, di dare forza,
delineandola, a una nuova attenzione. Perché è l’altro, con il suo silenzio
(«assenza più assurda presenza», diceva un lontano verso di Bertolucci) a
completare il quadro così apparentemente solipsistico e invece sotterraneamente
aperto a nuove vitalità. Ed è proprio quell’assenza la strada che consente di
riconoscere altre complementarità, quella rete di rapporti segreti che regola
da sempre ciò che appare come destino, ed è forse solo un irrinunciabile
momento di svolta, di cambiamento, di metamorfosi.
Paola Loreto, case / spogliamenti, Aragno, 2016, e. 10.00
Poi
i mondi che avremmo
potuto
abitare un giorno
ci
apparterranno
nella
seconda o terza realtà.
L’importante
è averne uno
vicino
al cuore
via
dal volere.