lunedì 27 giugno 2022

Ad Anzio, il 30 giugno, a parlare di poesia e mare.

 


Giovedì 30 giugno, ad Anzio, per la rassegna "Occidente" curata da Angelo Favaro, con Annalisa Alleva, Paola Benigni, Maura Locatore e Giorgio Patrizi parleremo di poesia e mare. Grazie al curatore e al Comune per l'invito! Ci vediamo alle 18.30.

lunedì 20 giugno 2022

AILANTO n. 66 - su Mario Santagostini

 



Se la memoria non m’inganna, era dai tempi di Wilcock che un poeta italiano mancava di misurarsi apertamente con Wittgenstein. E se lo scrittore di origine argentina si era soffermato soprattutto sui «luoghi comuni» del nostro linguaggio e del nostro modello culturale, oggi Mario Santagostini, con il suo recente Il libro della lettera arrivata, e mai partita ci consegna una densa raccolta di testi in cui rielabora il concetto stesso di «gioco linguistico». A dispetto della conclamata impotenza del linguaggio a restituire e reinventare la complessità del reale, vero e proprio leitmotiv della modernità, specie novecentesca, questa volta il poeta sposta la problematicità del concetto su un versante che potremmo definire, senza troppo allontanarci dal vero, relativistico, proprio con riferimento alla fisica. Queste nuove poesie, nel loro insieme, se da una parte rinviano di frequente a un «qui» che sembra ammantarsi di concretezza (il presente da cui Santagostini scrive? Il tavolo al quale lavora? Il foglio su cui getta i semi delle sue poesie?), dall’altra rappresentano una profonda oscillazione del tempo e dello spazio. I rimandi al passato sono incessanti, percorrono l’intero volume con riferimenti sempre precisi; si tratta di un passato remoto, che precede la vita stessa dell’autore o in qualche modo la prepara, l’anticipa, o, sempre nel remoto, l’autore rievoca momenti soprattutto degli anni Sessanta e Settanta, quelli della sua giovinezza. Non è una rievocazione nostalgica, ma di tutt’altra specie. Accade infatti, in questi versi, una dislocazione che ci mette incessantemente in dubbio; la vita si moltiplica, proietta, rifrange in tutte le sue possibili «varianti» (e tali sono molti di questi testi nell’economia del libro), tra l’accaduto, il non accaduto, l’eventuale. I personaggi rievocati, a partire dal soggetto, vanno e soprattutto tornano, o mancano di arrivare, al «qui» che resta il solo denominatore spazio-temporale.

Accanto a Wittgenstein, infatti, l’altro nume tutelare è Kafka. Non tanto il Kafka del mostruoso e del grottesco, ma quello che meglio ha saputo rappresentare, più che l’ineffabilità, la prismaticità del reale: ciò che rinvia, nell’immediato, a una visione caleidoscopica, dove le immagini si presentano senza una precisa origine e senza una vera traiettoria. In questo modo sembra che funzioni per Santagostini la memoria, «maceria, dove non si cammina», in questi incessanti camouflages tra ieri e oggi. Nella sua estrema summa relativistica, il soggetto stesso fatica a tenersi insieme, si duplica per infinite rifrazioni, finisce inevitabilmente col sovrapporsi alle figure che la memoria richiama da un passato vissuto o non vissuto, da una strada percorsa o non percorsa, «perduta o non perduta». È questa «l’opera ancora nascosta» che la lingua è in grado di tessere, forse soltanto accennandola nei versi, per rinviarla a qualcosa che ancora deve manifestarsi. Dunque, anche la scrittura si fa vettore relativistico, tra accenni di «realismo magico», diffrazioni, derive contingentiste, in una dimensione plurima da cui, come sui buchi neri o sui misteri del cosmo, si aprono improvvise «finestre» su ciò che è stato o non è stato o avrebbe potuto essere. Compreso il legame filiale, corrente tutt’altro che sotterranea che interessa l’intero volume: ogni qual volta il tempo viene chiamato in causa, e in prospettive così determinate e inquietanti, quel rapporto rappresenta la più profonda tensione che anima e agita la lingua.

Ci parla, di questo tendersi tra continuo e discontinuo, anche il ritmo di questo libro: ora scritto in versi, ora in prose che talvolta alludono al poemetto, altre volte si limitano a mimarlo, in una incessante anamorfosi che spiazza il lettore e con l’assoluto rigore, a cui questo poeta ci ha abituato, lo pone nel mezzo di un vortice interrogativo, forse invitandolo a guardare alle cose della vita da un centro che non è più tale, da un silenzio che ancora ci attende.

 

Mario Santagostini, Il libro della lettera arrivata, e mai partita, Garzanti 2022, e. 20,00.

 


A se stesso, anni fa

 

Stasera, cammini sul corso.

E consideri tutta la gente che vedi

o vedrai come

gente perduta, e ritrovata.

Poi, che quando hai amato qualcuno,

era la seconda volta.

E tornava, chi se ne era andato.

E un giorno, forse,

avrai più di una vita da lasciare.

Ma una, da ricordare.

 

E avrai più ore, di quelle che hai passato.

mercoledì 15 giugno 2022

AILANTO n. 65 - su Eduardo Ainbinder

 



Forse non una vera e propria estetica, ma in ogni caso una rappresentazione del mostruoso, nelle lettere argentine, si deve alla sprezzante verve iconoclasta di Juan Rodolfo Wilcock, l’autore che meglio ha saputo esprimere, con coerenza, quanto di grottesco, assurdo, deforme è nella natura dell’uomo e nei suoi modi di instaurare rapporti, leggere la realtà. E forse qualche traccia di Wilcock si può trovare in Eduardo Ainbinder, un poeta che della deformazione ha fatto lo strumento «che svela il vero volto del reale», come scrive Francesco Tarquini introducendo il lettore italiano a una breve raccolta pubblicata dalle meritorie edizioni Fili d’Aquilone. Il libro, che prosegue un progetto editoriale particolarmente attento alla poesia dell’America latina, si intitola nell’originale ¡Párense derecho! ed è stato pubblicato in Argentina nel 2015. Dal risvolto di copertina apprendiamo qualche notizia su questo autore, nato nel 1968: collaborazioni a riviste e case editrici, qualche sparuta, introvabile plaquette, poi raccolta in un volume del 2007, Con Gusano. Tutto qui. Avarizia, pigrizia, gioco a nascondersi, come è spesso dei letterati di quel continente? Il talento non si misura a peso, certamente, e il curatore ci assicura che questo è bastato affinché Ainbinder trovasse il suo posto nella poesia argentina, portandovi un carattere che solo con approssimazione si potrebbe definire satirico.

I tratti provocatori ci sono tutti, e, come spesso accade, restituire ai lettori quanto di deforme è nel carattere umano rende la propria operazione, già in partenza, poco classificabile. Chi rimesta le carte della vita, della storia, della politica, è, di per sé, un anticanonico, qualcuno di dubbia collocazione. È sempre stato così e non ci sorprende affatto; a patto, però, di non rinunciare all’esercizio del wit, all’eleganza e alla precisione con cui il poeta satirico (o comico, o ironico, o umoristico: in realtà si tratta di sfaccettature di uno stesso, ricchissimo prisma) scocca le sue frecce. In questa raccolta, in particolare, tradotta da Tarquini con Su, dritti in piedi!, Ainbinder allestisce di testo in testo una propria, personale galleria dell’anomalo e del mostruoso, spingendo per questa via il lettore «ad andare contro i rumori dell’epoca», avverte il curatore. Ci imbattiamo così in una serie di personaggi che più ci paiono inverosimili e più, indiscutibilmente, ipostatizzano quanto quelle deformità siano consustanziali alla natura umana, le appartengano nel profondo. Scorrendo questa «reunión de fealdades», quest’«adunanza di brutture» - come traduce Tarquini riuscendo in un compito non semplice – ci accorgiamo però che la vera deformità, sul piano fisico e rispetto ai mostri di Wilcock, riguarda piuttosto la vecchiaia, e che la vera, temibile metamorfosi è un processo più interiore, per il quale «si vedono i sogni battere uno ad uno in ritirata / di chi si trasforma in tutto quanto detesta» (Pur non amando). Talvolta le immagini s’inarcano, la lingua sfiora il nonsense (come nei limerick inglesi, si lascia trascinare dal gioco delle rime) senza però nulla perdere della sua forza critica, anzi, alleggerendola e guardando così a una cultura tutt’altro che estranea al gusto argentino. Ma «il vero volto del reale» resta quello di un’anziana «vecchia quanto il cucco / tra le cui rughe spariscono occhi e faccia». Davvero «lo real no se parece a nada», «il reale non somiglia a nulla». 

 

Eduardo Ainbinder, Su, dritti in piedi!, a cura di Francesco Tarquini, Edizioni Fili d’Aquilone 2022, e. 15.

 

Nella nostra Casa Istituzione

 

sono le sedie i soli abitanti dritti in piedi.

E anche se senza tregua

udiamo le strida

del nostro istitutor: Su, dritti in piedi!,

non c’è maniera, non c’è modo

di non sembrare altrettanti Quasimodo.

E se picchia alla porta

della nostra Casa Istituzione

qualche egoista in vesti di altruista

all’oscuro della regola essenziale

che dice: “A chi accatta con aria vergognosa

non si chiede, si dà”,

niente abbiamo da dare

a meno che un giorno diventiamo

striminziti al limite del possibile

se non altro per offrire

all’aria minore resistenza.