mercoledì 15 giugno 2022

AILANTO n. 65 - su Eduardo Ainbinder

 



Forse non una vera e propria estetica, ma in ogni caso una rappresentazione del mostruoso, nelle lettere argentine, si deve alla sprezzante verve iconoclasta di Juan Rodolfo Wilcock, l’autore che meglio ha saputo esprimere, con coerenza, quanto di grottesco, assurdo, deforme è nella natura dell’uomo e nei suoi modi di instaurare rapporti, leggere la realtà. E forse qualche traccia di Wilcock si può trovare in Eduardo Ainbinder, un poeta che della deformazione ha fatto lo strumento «che svela il vero volto del reale», come scrive Francesco Tarquini introducendo il lettore italiano a una breve raccolta pubblicata dalle meritorie edizioni Fili d’Aquilone. Il libro, che prosegue un progetto editoriale particolarmente attento alla poesia dell’America latina, si intitola nell’originale ¡Párense derecho! ed è stato pubblicato in Argentina nel 2015. Dal risvolto di copertina apprendiamo qualche notizia su questo autore, nato nel 1968: collaborazioni a riviste e case editrici, qualche sparuta, introvabile plaquette, poi raccolta in un volume del 2007, Con Gusano. Tutto qui. Avarizia, pigrizia, gioco a nascondersi, come è spesso dei letterati di quel continente? Il talento non si misura a peso, certamente, e il curatore ci assicura che questo è bastato affinché Ainbinder trovasse il suo posto nella poesia argentina, portandovi un carattere che solo con approssimazione si potrebbe definire satirico.

I tratti provocatori ci sono tutti, e, come spesso accade, restituire ai lettori quanto di deforme è nel carattere umano rende la propria operazione, già in partenza, poco classificabile. Chi rimesta le carte della vita, della storia, della politica, è, di per sé, un anticanonico, qualcuno di dubbia collocazione. È sempre stato così e non ci sorprende affatto; a patto, però, di non rinunciare all’esercizio del wit, all’eleganza e alla precisione con cui il poeta satirico (o comico, o ironico, o umoristico: in realtà si tratta di sfaccettature di uno stesso, ricchissimo prisma) scocca le sue frecce. In questa raccolta, in particolare, tradotta da Tarquini con Su, dritti in piedi!, Ainbinder allestisce di testo in testo una propria, personale galleria dell’anomalo e del mostruoso, spingendo per questa via il lettore «ad andare contro i rumori dell’epoca», avverte il curatore. Ci imbattiamo così in una serie di personaggi che più ci paiono inverosimili e più, indiscutibilmente, ipostatizzano quanto quelle deformità siano consustanziali alla natura umana, le appartengano nel profondo. Scorrendo questa «reunión de fealdades», quest’«adunanza di brutture» - come traduce Tarquini riuscendo in un compito non semplice – ci accorgiamo però che la vera deformità, sul piano fisico e rispetto ai mostri di Wilcock, riguarda piuttosto la vecchiaia, e che la vera, temibile metamorfosi è un processo più interiore, per il quale «si vedono i sogni battere uno ad uno in ritirata / di chi si trasforma in tutto quanto detesta» (Pur non amando). Talvolta le immagini s’inarcano, la lingua sfiora il nonsense (come nei limerick inglesi, si lascia trascinare dal gioco delle rime) senza però nulla perdere della sua forza critica, anzi, alleggerendola e guardando così a una cultura tutt’altro che estranea al gusto argentino. Ma «il vero volto del reale» resta quello di un’anziana «vecchia quanto il cucco / tra le cui rughe spariscono occhi e faccia». Davvero «lo real no se parece a nada», «il reale non somiglia a nulla». 

 

Eduardo Ainbinder, Su, dritti in piedi!, a cura di Francesco Tarquini, Edizioni Fili d’Aquilone 2022, e. 15.

 

Nella nostra Casa Istituzione

 

sono le sedie i soli abitanti dritti in piedi.

E anche se senza tregua

udiamo le strida

del nostro istitutor: Su, dritti in piedi!,

non c’è maniera, non c’è modo

di non sembrare altrettanti Quasimodo.

E se picchia alla porta

della nostra Casa Istituzione

qualche egoista in vesti di altruista

all’oscuro della regola essenziale

che dice: “A chi accatta con aria vergognosa

non si chiede, si dà”,

niente abbiamo da dare

a meno che un giorno diventiamo

striminziti al limite del possibile

se non altro per offrire

all’aria minore resistenza.

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