domenica 7 marzo 2021

AILANTO n. 60 - su Adam Zagajewski

 





Non è facile tracciare criticamente in poche righe un percorso espressivo ampio, come è quello di Adam Zagajewski. Già esponente di punta all’interno di «Nowa Fala», il movimento che rinnovò profondamente la poesia polacca tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta, e di cui fecero parte altri poeti del calibro di Krzysztof Karasek e Ryszarsd Krynicki, Zagajewski si impose fin da subito per la straordinaria coerenza nella ricerca della contemporaneità a scapito della poeticità. «Vogliamo essere contemporanei, non poetici»: questo assunto fece di quel gruppo qualcosa di estremamente aderente al suo nome, che non a caso significa «nuova ondata». Negli anni Zagajewski ha conosciuto più territori e più mondi, fino a raggiungere il lettore di casa nostra con una bella antologia adelphiana del 2012; ma oggi, anche se a notevole distanza di tempo, possiamo disporre di una nuova e più ampia antologia, affidata alle cure di Marco Bruno, che per lo Specchio mondadoriano firma anche le efficaci traduzioni di Guarire dal silenzio. Il volume si costruisce intelligentemente a ritroso, partendo da una buona selezione delle ultime prove poetiche dell’autore, per giungere fino ai più antichi Negozi di carne, del 1975, e Comunicato, del 1972, il testo che fece conoscere Zagajewski e lo consacrò fra le promesse certe della poesia polacca e non solo. Dunque l’operazione è doppiamente meritoria, perché se da una parte ci consente di tornare a leggere un poeta di assoluto valore, dall’altra ne ricostruisce la fisionomia nel tempo, lasciando scandire le tappe della ricerca poetica di libro in libro, fino alle origini. Distesa così, la scrittura di Zagajewski si mostra non solo nelle sue progressive acquisizioni, ma anche in una humanitas spesso perduta e ritrovata per via lirica: si avverte immediatamente che intorno a questi versi gravita un mondo di presenze e di assenze, di incontri e di lutti, di memorie che si sovrappongono alla poesia stessa ricordandoci il flusso autentico della vita ordinaria, quella in cui torniamo a noi stessi, e «anche allora si può vivere». Si comprende così come l’idea di contemporaneo si sia progressivamente assestata intorno a un nucleo di quotidianità e affettività, senza mai perdere di vista, sullo sfondo, l’orizzonte spesso tragico della Storia. Basta appena un toponimo, un minimo richiamo, e la vicenda privata si estende a dismisura con un effetto di insolita e quasi straniante amplificazione fino a coinvolgere il lettore in un orizzonte imprevisto, la cui domesticità diventa nell’immediato accoglienza e coinvolgimento. In Zagajewski il dolore personale e il dolore della Storia procedono di pari passo, si intersecano anche in alcuni momenti della vicenda biografica, e la sua poesia ne riflette i movimenti più intimi e remoti, chiamandoci a parteciparvi e a non dimenticare.

 

Adam Zagajewski, Guarire dal silenzio, a cura di Marco Bruno, Mondadori, pp. 298, e. 22.

 

 

Charlie dichiarò una volta a New York

saremo amici – e fummo amici

per trent’anni.

 

L’amicizia è immortale e non ha bisogno

di molte parole. È paziente e serena.

L’amicizia è la prosa dell’amore.


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