mercoledì 15 ottobre 2014

Ricordo di Piero Bigongiari



Dovevo trovarmi al Teatro Studio di Scandicci, ieri sera, per un omaggio a Piero Bigongiari nel centenario della nascita, ma non ce l'ho fatta. Ho scritto però un breve ricordo che ho inviato a Paolo Fabrizio Iacuzzi, organizzatore dell'evento.

Ho conosciuto Piero Bigongiari nella seconda metà degli anni Ottanta, non saprei dire con più precisione: quando, su invito di Maria Luisa Spaziani, veniva a Roma, a piazza Campitelli, a tenere conferenze per la cattedra di poesia del Centro Montale. Con ogni probabilità fu Maria Luisa a presentarci. L’ho incontrato meglio, in compagnia della moglie Elena, a Perugia, alla fine di settembre del 1990, dove li avevo raggiunti con Elio Pecora in occasione di un convegno su Sandro Penna: ho la loro immagine precisa, questa volta, nel ristorante dell’albergo La Rosetta, allo stesso tavolo con Oreste Macrì. Il nostro piccolo carteggio, di cui resta qualche traccia fra un trasloco e l’altro, era già cominciato. Quell’anno, infatti, avevo pubblicato una sua poesia in un piccolo quaderno di poeti che stampavo con l’amica Marina Guglielmi, «Trame». Era il numero tre, datato maggio, e Bigongiari lo apriva. Gli avevo scritto in gennaio o febbraio, chiedendogli un testo, e lui, a metà febbraio, aveva cordialmente risposto ricordandosi di me e della promessa. In quello stesso quaderno appariva, tra le altre, una poesia di Antonio Riccardi.
Quando lo raggiunsi al tavolo per salutarlo, mi rispose così: ecco il mio più giovane editore. E in questa veste insolita mi presentò a Macrì, che subito prese a parlarmi di un suo libro inedito su Penna, pensando che fossi un editore vero. L’equivoco fu chiarito, per mia fortuna e non senza sollievo. I tre giorni trascorsi con loro ad ascoltare gli interventi del convegno, o insieme al ristorante a discutere di novecento, mentre giudicavamo i piatti che ci venivano proposti, mi restituiscono ancora di lui un’immagine allegra e cordiale, all’opposto dei ritratti seri e pensosi che mi aveva fatto Maria Luisa; e lei, al mio ritorno a Roma, dubitava dei miei racconti: ma è proprio Piero quello che hai conosciuto? Anche sua moglie condivideva quell’allegria, quel clima di simpatia e di vitalità che s’era acceso tra noi.
Non lo avrei più rivisto, purtroppo. Dopo Perugia, i nostri contatti si limitarono alle lettere. Ancora nel ‘91 mi inviò alcuni degli Sketches che andava scrivendo in quel periodo, sempre per «Trame»: ne pubblicai uno nell’ottavo quaderno del giugno ’92. Quell’anno apparve da Mondadori La legge e la leggenda, e avendo avuto dall’inserto «Spaziolibri» de «La voce repubblicana» la possibilità di scrivere quel che volevo, mi affrettai a recensirlo. Bigongiari non tardò a rispondermi che per lui era stata la recensione più bella. Lo racconto perché quel riconoscimento critico – da un poeta, ma anche da uno dei maggiori studiosi della modernità poetica – è stato fondamentale per me, una vera infusione di sicurezza, un incoraggiamento a proseguire nell’occuparmi della poesia altrui. Quello che sarebbe divenuto, nel tempo, il mio «terzo mestiere».
Cosa potrei proporvi, di lui, se non qualcosa di cui ho avuto la ventura di essere “editore”? La poesia, se non ricordo male, fu poi inclusa ne La legge e la leggenda, ma mentre scrivo non ho il libro con me e non potrei giurarlo: l’infaticabile e informatissimo amico Iacuzzi potrà confermarvelo. Il titolo è Spes paenultima dea. Bigongiari mi scriveva in proposito: «le accludo questa favoletta sperando che non le dispiaccia». Ma di favole si ha sempre bisogno, e non solo a vent’anni. Grazie, carissimo Piero.

«Senza speranza, come puoi campare?»
disse una volta un granchio di mare
a un suo compagno che andando sbilenco
punteggiava la spiaggia con la lenta
grafia delle sue zampe verso una
poco distante duna. Ed ecco a un tratto
che l’ondata raduna i due viandanti
e un po’ li travolge, un po’ li porta
verso la battima sonora. «Vedi,
è questa la speranza: improvvisa
ti distoglie mentre più ti allontani
da lei» rispose l’altro al compagno
che rivoltato dall’ondata stava
a zampe all’aria. «Sì, ma essa ti toglie
talvolta il modo anche d’allontanarsene,
anche se essa non è mai l’estrema»
il primo farfugliava tra le sparse
pozze che luccicavano qua e là
prima che le riassorbisse la rena.

Spes paenultima dea… In quell’istante
lassù in alto un aereo della BEA
lascia una striscia sottilmente bianca
nel sole ultimo, troppo alto pei granchi,
nebulosa nei suoi recessi azzurri.
L’uno s’affretta di tralice, l’altro
attende che lo volti un’altra ondata.

1 commento:

  1. Grazie per ricordare Bigongiari, caro Roberto. Bella la tua testimonianza e questa poesia la sento particolarmente vicina al mio sentire attuale, una favola, come dici bene tu, di uno dei maggiori studiosi della modernità poetica, un grande. Tra l'altro ho saputo che presto uscirà una sua antologica negli Oscar Mondadori, se non mi sbaglio. Meno male, qualche buona notizia!

    A presto

    Antonio Bux

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