Dovevo trovarmi al Teatro Studio di Scandicci, ieri sera, per un omaggio a Piero Bigongiari nel centenario della nascita, ma non ce l'ho fatta. Ho scritto però un breve ricordo che ho inviato a Paolo Fabrizio Iacuzzi, organizzatore dell'evento.
Ho conosciuto Piero Bigongiari
nella seconda metà degli anni Ottanta, non saprei dire con più precisione:
quando, su invito di Maria Luisa Spaziani, veniva a Roma, a piazza Campitelli,
a tenere conferenze per la cattedra di poesia del Centro Montale. Con ogni
probabilità fu Maria Luisa a presentarci. L’ho incontrato meglio, in compagnia
della moglie Elena, a Perugia, alla fine di settembre del 1990, dove li avevo
raggiunti con Elio Pecora in occasione di un convegno su Sandro Penna: ho la
loro immagine precisa, questa volta, nel ristorante dell’albergo La Rosetta, allo
stesso tavolo con Oreste Macrì. Il nostro piccolo carteggio, di cui resta
qualche traccia fra un trasloco e l’altro, era già cominciato. Quell’anno,
infatti, avevo pubblicato una sua poesia in un piccolo quaderno di poeti che
stampavo con l’amica Marina Guglielmi, «Trame». Era il numero tre, datato
maggio, e Bigongiari lo apriva. Gli avevo scritto in gennaio o febbraio,
chiedendogli un testo, e lui, a metà febbraio, aveva cordialmente risposto
ricordandosi di me e della promessa. In quello stesso quaderno appariva, tra le
altre, una poesia di Antonio Riccardi.
Quando lo raggiunsi al tavolo per
salutarlo, mi rispose così: ecco il mio più giovane editore. E in questa veste
insolita mi presentò a Macrì, che subito prese a parlarmi di un suo libro
inedito su Penna, pensando che fossi un editore vero. L’equivoco fu chiarito,
per mia fortuna e non senza sollievo. I tre giorni trascorsi con loro ad
ascoltare gli interventi del convegno, o insieme al ristorante a discutere di
novecento, mentre giudicavamo i piatti che ci venivano proposti, mi
restituiscono ancora di lui un’immagine allegra e cordiale, all’opposto dei
ritratti seri e pensosi che mi aveva fatto Maria Luisa; e lei, al mio ritorno a
Roma, dubitava dei miei racconti: ma è proprio Piero quello che hai conosciuto?
Anche sua moglie condivideva quell’allegria, quel clima di simpatia e di
vitalità che s’era acceso tra noi.
Non lo avrei più rivisto,
purtroppo. Dopo Perugia, i nostri contatti si limitarono alle lettere. Ancora
nel ‘91 mi inviò alcuni degli Sketches
che andava scrivendo in quel periodo, sempre per «Trame»: ne pubblicai uno
nell’ottavo quaderno del giugno ’92. Quell’anno apparve da Mondadori La legge e la leggenda, e avendo avuto
dall’inserto «Spaziolibri» de «La voce repubblicana» la possibilità di scrivere
quel che volevo, mi affrettai a recensirlo. Bigongiari non tardò a rispondermi
che per lui era stata la recensione più bella. Lo racconto perché quel
riconoscimento critico – da un poeta, ma anche da uno dei maggiori studiosi
della modernità poetica – è stato fondamentale per me, una vera infusione di
sicurezza, un incoraggiamento a proseguire nell’occuparmi della poesia altrui.
Quello che sarebbe divenuto, nel tempo, il mio «terzo mestiere».
Cosa potrei proporvi, di lui, se
non qualcosa di cui ho avuto la ventura di essere “editore”? La poesia, se non
ricordo male, fu poi inclusa ne La legge
e la leggenda, ma mentre scrivo non ho il libro con me e non potrei
giurarlo: l’infaticabile e informatissimo amico Iacuzzi potrà confermarvelo. Il
titolo è Spes paenultima dea.
Bigongiari mi scriveva in proposito: «le accludo questa favoletta sperando che
non le dispiaccia». Ma di favole si ha sempre bisogno, e non solo a vent’anni.
Grazie, carissimo Piero.
«Senza speranza, come puoi
campare?»
disse una volta un granchio di
mare
a un suo compagno che andando
sbilenco
punteggiava la spiaggia con la
lenta
grafia delle sue zampe verso una
poco distante duna. Ed ecco a un
tratto
che l’ondata raduna i due
viandanti
e un po’ li travolge, un po’ li
porta
verso la battima sonora. «Vedi,
è questa la speranza: improvvisa
ti distoglie mentre più ti
allontani
da lei» rispose l’altro al
compagno
che rivoltato dall’ondata stava
a zampe all’aria. «Sì, ma essa ti
toglie
talvolta il modo anche
d’allontanarsene,
anche se essa non è mai
l’estrema»
il primo farfugliava tra le
sparse
pozze che luccicavano qua e là
prima che le riassorbisse la
rena.
Spes paenultima dea… In
quell’istante
lassù in alto un aereo della BEA
lascia una striscia sottilmente
bianca
nel sole ultimo, troppo alto pei
granchi,
nebulosa nei suoi recessi
azzurri.
L’uno s’affretta di tralice,
l’altro
attende che lo volti un’altra
ondata.
Grazie per ricordare Bigongiari, caro Roberto. Bella la tua testimonianza e questa poesia la sento particolarmente vicina al mio sentire attuale, una favola, come dici bene tu, di uno dei maggiori studiosi della modernità poetica, un grande. Tra l'altro ho saputo che presto uscirà una sua antologica negli Oscar Mondadori, se non mi sbaglio. Meno male, qualche buona notizia!
RispondiEliminaA presto
Antonio Bux