giovedì 25 settembre 2014

AILANTO n. 7 - Su Nina Cassian






Non è la prima volta che la poesia di Nina Cassian incontra il lettore italiano, ma è certo la prima occasione in cui la sua opera riesce a dare di sé, in un contesto straniero, una rappresentanza importante e compatta. Sto parlando del volume antologico C’è modo e modo di sparire, apparso esattamente un anno fa nella Biblioteca Adelphi, a cura di Ottavio Fatica, che traduce insieme ad Anita Natascia Bernacchia. Quello di Cassian, infatti, è un caso di trilinguismo: la sua scrittura trascorre dalla lingua madre, il romeno, all’inglese, lingua di adozione anche politica, fino a una di quelle lingue immaginarie che tanto affascinavano gli scrittori dell’utopia e di certo fantastico: lo “spargano”, curioso quanto affascinante idioletto di pura invenzione e di grande efficacia invettiva.
Nina Cassian è probabilmente una delle ultime esponenti, se non l’ultima, di una grande tradizione sperimentale novecentesca, che nel suo paese d’origine comprende artisti e letterati come Brancusi e Tzara, Ionesco e Cioran, ma non vorrei dimenticare anche Blaga. Una vera e trasversale comunità espressiva, che nel tempo ha saputo dialogare con la migliore cultura europea finendo poi per nutrirla e contribuendo al suo rinnovarsi. Del secolo scorso, e di tutte le sue tensioni avanguardistiche, questi versi riprendono e sviluppano in modi nuovi il gusto delle antitesi, i contrasti destinati a non ricomporsi dialetticamente ma a restare irrisolti, come immagini senza più gravità, che aleggiano intorno al soggetto e ne problematizzano l’esistenza, mettendo in luce aporie e improvvisi rovesciamenti di segno. E ancora vi si agitano provocazioni e paradossi, accostamenti arditi, figure che la tradizione sembrava ormai aver consegnato a un preciso codice simbolico, e che qui invece tornano a caricarsi di altri significati. C’è la tigre, per esempio, l’animale più ricorrente nel bestiario di quest’autrice, almeno stando alla scelta del curatore: la sua febbrile, inquietante presenza che rinvia a Blake o a Borges, improvvisamente viene a rappresentare un’alterità costante e assoluta, ora antagonista, ora assimilata al soggetto nella forma di un potere estraneo, insospettato, che coincide con una vera e propria tentazione.
La «letteratura» è per Nina Cassian quello spazio dove il linguaggio regna sovrano e deforma a suo piacimento il mondo, lo decostruisce ricreando altre immagini, confondendo i colori: è un «giocare alla Genesi», gioco allettante e perverso che costringe infine il soggetto a fare i conti con se stesso, con la sua decadenza fisica, con le sue bruttezze e i suoi limiti. C’è molto io in questo sperimentare, come se il poeta avvertisse la necessità di mettersi ancora una volta a nudo, proprio quando tende il linguaggio al massimo delle sue potenzialità: ma ogni rovesciamento, ogni straniamento (ciò che è il movimento intero più autentico di queste poesie) contribuisce a scrivere un’antropologia del dissenso, apre una discussione sull’ovvio: per ricordarci che dietro ogni certezza e ogni abitudine la realtà gioca sempre più forte dell’arte.

Nina Cassian, C’è modo e modo di sparire. Poesie 1945-2007, a cura di Ottavio Fatica, Adelphi 2013, e. 25,00.

Letteratura
Una mela azzurra,
una tigre verde –
quanto basta per scriver libri di tutt’altro genere,
libri con cieli rossi,
giungle viola,
perché qui come altrove tutto si rimescola.

Oh, giocare alla Genesi, che spasso –
finché la mela rossa non riappare
e la tigre gialla striata e sinuosa non s’avventa

a sgranocchiare quanto scritto nel frattempo.

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