Nella collana di Poesia dell’editore Donzelli, diretta da Elisa Donzelli (ricordo il suo recente Album per Nottetempo), è appena apparso un libro di Franco Loi. Devo subito dire che non si tratta di una raccolta postuma, disposta dallo stesso poeta o allestita da un curatore; non si tratta neppure di un’antologia. Il titolo, Vòltess («Vòltati») mi ha ricordato di cosa poteva trattarsi. Nel 2003, a Palermo, mi trovai coinvolto nell’organizzare un evento per la Giornata mondiale della poesia. Chiesi all’amico Umberto Fiori di partecipare e lui accettò volentieri, proponendomi di esibirsi con Tommaso Leddi (si ricomponeva così una parte degli Stormy Six, uno dei gruppi di punta del rock progressivo italiano); insieme avrebbero eseguito e cantato dei brani su testi proprio di Loi. Quel progetto, che comprende ben dodici canzoni («come uno zodiaco», scrive Leddi nella postfazione al volume) si intitolava, per l’appunto, Vòltess.
Il libro che oggi ho tra le mani riproduce, arricchito di un bel cd, quel progetto. Vi ritrovo i dodici brani, con testi variamente presi dalle varie raccolte pubblicate da Loi in vita. Musica di Leddi, voce di Fiori: un connubio felice e ben collaudato, che esalta la forza espressionistica della poesia di Loi, rappresentando un capitolo del tutto nuovo nella storia della canzone milanese: Leddi stesso rievoca la presenza di Nanni Svampa a una delle loro esibizioni, in cui lamentava la carenza di scurrilità, com’è della tradizione lombarda. Non è certo questa la corda primaria nei versi di Loi: Leddi e Fiori hanno lavorato insieme, da profondi conoscitori del poeta, e possedendo anzitutto gli strumenti della musica e della poesia, sui temi portanti di quell’opera poetica. Vòltess è dunque un collage, dove a volte i testi sono mescidati tra loro, proprio privilegiando il versante tematico; il lettore ne rintraccerà facilmente le fonti nella nota conclusiva. Nella bella, partecipe introduzione, Fiori rievoca alcune di queste linee centrali, ispirate da una certa visionarietà espressa in una «lingua fraterna», secondo una definizione di Brevini, bastarda e inventata, ricca di impennate foniche e non certo facile a tradursi sul pentagramma; ma la scommessa è stata senz’altro vinta. Più che al volume, che riproduce i testi rielaborati, nella traduzione non di Loi ma dello stesso Fiori, bisogna prestare attenzione al cd, meritoriamente allegato dall’editore, perché è lì che il senso di tutta l’operazione può finalmente palesarsi. E, soprattutto per chi non è lombardo o non ha affinità con quei dialetti, è possibile ascoltare il suono di una lingua poetica tra le più incisive del nostro secondo Novecento.
I temi sono quelli a cui il lettore di Loi è ben avvezzo: storia, memoria, nostalgia, viaggio (in questo caso in treno, come nella seconda canzone). Insieme vengono a comporre una sorta di sistema, richiamandosi l’un l’altro nella ricostruzione di una densa cartografia esistenziale che dal privato guarda sempre al collettivo, alla ricerca (il cercare è un altro termine chiave di Loi) di una significazione più ampia, sempre più ampia (cercare «più in là»), com’è della grande poesia radicata al sentire e tesa al reinventare la realtà, anche nel colloquio con una divinità che nessuna ragione può identificare e circoscrivere; ma la religiosità di Loi sarebbe già un capitolo a parte che Vòltess si limita ad accennare, suggestionando l’ascoltatore e invitandolo a rileggere questo poeta straordinario. Scelgo una poesia in cui non è difficile riconoscere gli «hollow men» di Eliot, o «gli uomini che non si voltano» di Montale. Non so quanto del loro afflato metafisico pervada la poesia di Loi; mi piace piuttosto rimarcare, in lui, una concretezza e una matericità di cui il ricorso al dialetto è immediato segnale.
Franco Loi, Vòltess. Poesie musicate da Tommaso Leddi per la voce di Umberto Fiori, con cd allegato, Donzelli 2021, e. 19,00.
Sono sordi, sono ciechi
È difficile parlare con un popolo di morti,
che io tendo l’orecchio e loro non ci sono più.
Sono sordi, sono ciechi, e la loro lingua è storpia.
Fredda memoria, colore dei tempi andati…
Milano fatta di idrossido, ululare di macchine.
Strade vuote dove gli uomini, ciechi, non sanno più trovarsi.
"il suono di una lingua poetica" 📖🧎♂️🌻
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