sabato 5 agosto 2017

AILANTO n. 46 - Su Milo De Angelis









L’ultima raccolta completa delle poesie di Milo De Angelis risale al 2008, per le cure di Eraldo Affinati. Dopo quella data si sono aggiunte altre due tappe importanti nel percorso di quest’autore, Quell’andarsene nel buio dei cortili (2010) e Incontri e agguati (2015). Era dunque necessario un aggiornamento dell’intero corpus, operazione a cui Mondadori ha provveduto con un volume, Tutte le poesie 1969-2015, che si avvale della postfazione e della bibliografia di Stefano Verdino. Il libro inaugura la nuova serie con cui la collana principe della poesia contemporanea, «Lo Specchio», riprende il suo percorso dopo un restyling non solo grafico, ma anche progettuale.
Non è certo semplice racchiudere in poche note il racconto di oltre quattrocento pagine che contengono una vita intera di poesia, e ancor meno lo è quando il poeta in questione è uno dei più frequentati, dai lettori e dalla critica, ma anche uno dei più complessi del panorama lirico tra i due secoli. Ad aiutarci nell’attraversamento concorrono senz’altro le osservazioni della postfazione, e ancor più la densa nota d’autore che chiude la lunga sequenza delle poesie. La vera novità del libro, rispetto alla confezione editoriale degli «Oscar» di poesia, ormai dismessi, è proprio questa: affidare alla diretta voce del poeta quella che non vuole soltanto risuonare come una dichiarazione di poetica, ma anche come una descrizione di lavoro, come un inesausto work-in-progress aperto al lettore. Un’autentica narrazione non solo dell’insorgere di una vocazione, ma anche di come questa energia irrinunciabile e soverchiante sia stata poi tradotta nei versi qui riuniti, a cui si aggiungono (altra importante novità) alcune poesie “giovanili”, conservate negli anni da un antico maestro e sodale come Angelo Lumelli. La parte delle poesie, così, dialoga in modo più fitto e concreto con il racconto della propria scrittura, a partire dalla sua scoperta e dalle prime prove compiute. Da quelle pagine fondamentali ci vengono incontro alcune categorie, alcune immagini: la «permanenza», lo «svelamento», il «ritorno», il «silenzio», il «tempo». Sono i grandi concetti, ovvero le linee-guida, che possiamo ritrovare in alcuni antecedenti novecenteschi che De Angelis ha eletto tra i suoi interlocutori previlegiati (penso, sopra tutti, a Celan, a Rilke, a Marina Cvetaeva), ma che in realtà attraversano tutta l’ossatura della tradizione poetica occidentale, dai classici greci e latini, verso i quali questo autore non ha mai cessato di dimostrare un’attenzione e forse una predilezione che in altri poeti appare più fievole.
Nel cercare di riprodurre i propri fantasmi e le proprie ossessioni sulla carta, De Angelis ammette fin da subito una sorta non di reticenza ma di impotenza. Parlare della poesia è qualcosa che «mi atterrisce e mi atterra», dichiara, per poi spostare il paradosso  sulla natura stessa dell’atto poietico: ambire alla «permanenza» con gli strumenti più esili e indifesi che il presente possa metterci a disposizione. Ma il linguaggio dei poeti si sostanzia di questa contraddizione e dunque di questo miracolo: il suo effetto più pregnante è quello del ri-conoscimento, sulla linea ideale che congiunge Leopardi a Pavese, di un «mondo precedente», verso cui attua, nella spinta mitografica della parola, un possibile «ritorno». Il «porto sepolto» di Ungaretti ne diventa il simbolo più vicino ed efficace. Prima che tutto ciò possa compiersi, il poeta De Angelis ingaggia una lotta con il «silenzio», per sottrarvi quei «brandelli» di un racconto possibile su cui allestire le sue ardue impalcature liriche. È con questa energia implosiva che la sua scrittura da sempre si misura affinché attraverso la porta della Poesia possa infine mostrarsi «la vita autentica».

Milo De Angelis, Tutte le poesie 1969-2015, Postfazione e Nota biobibliografica di Stefano Verdino, Mondadori 2017, e. 22.

Il cerchio

Un modo di violare la grazia
di questi abiti, tra le danze e il vino
e i volti fini:
non c’è. La nebbia entra dalla finestra
morbida, avvolge
ogni crudeltà, vellutandola. È un inverno già caldo
in cui ciò che manca annuncia il ritorno
e là dentro l’agonia degli animali compone un ordine
musicale.
Anche i buchi di morfina
nascondono il sangue.

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