venerdì 19 marzo 2021

AILANTO n. 61 - su Mariella Bettarini

 




Che certa poesia italiana abbia una predilezione per l’haiku è ormai un fait accompli. Esistono anche premi, in questo senso, sponsorizzati dall’ambasciata giapponese; si pubblicano antologie, si organizzano rassegne. Anche autori di fama ne hanno scritti, talora cimentandosi in forme più tradizionali, diciamo ortodosse (ma si ricordi che l’haiku italiano è una forma molto addomesticata dell’originale): per esempio Margherita Guidacci. Ora un altro poeta di area fiorentina, Mariella Bettarini (che qui propongo in un bel ritratto fotografico di Dino Ignani), congeda un piccolo, denso libro di haiku, ma portando nella scrittura alcune novità sostanziali. Bettarini, infatti, affronta l'haiku reinventandone dall’interno la struttura, che pur restando quella canonica dei tre versi di cinque, sette, e ancora cinque sillabe, in realtà si distende in una sorta di dialogo simpatetico con il lettore. Assistiamo a un ampliamento discorsivo, a un consegnarsi della parola non solo di verso in verso, ma anche e soprattutto di movimento in movimento. Gli haiku di Bettarini seguono precisi percorsi tematici suggeriti dall’ordine alfabetico, così la raccolta viene a configurarsi come un vero e proprio libro, un macrotesto con un suo ordine dove nulla può essere spostato o sottratto; ogni lettera è scandita in cinque movimenti interni, ciascuno corrispondente a un haiku. Non può non venire in mente, dietro la grazia e la leggerezza del dettato, l’idea di una decisa sperimentazione,  di un progetto coerentemente perseguito, come nel caso dell’Ipersonetto di Andrea Zanzotto. Una sorta di iper-haiku è quanto Bettarini ci offre di tappa in tappa, dalla “a” di Animali alla “z” di Zenith. Ho parlato di leggerezza, ma in realtà – questo è sempre il miracolo della poesia – l’autrice insegue massimi sistemi, valori assoluti. Di lettera in lettera ridisegna una sua personale, ma quanto comunicante assiologia; la volontà di rivolgersi al lettore, coinvolgendolo, è continua e sempre attestata dalle incessanti domande, dal fraseggio locutivo, che perviene infine a un’assertività quieta, a una specie di distaccata saggezza lungamente conquistata negli anni. In questo senso questi Haiku alfabetici, che inaugurano la collana di poesia della nuova casa editrice Il ramo e la foglia, diventano quasi un viatico: «accogliamo ogni inizio / felicemente», scrive Bettarini, invitandoci con ciò a recuperare anche dalle macerie del vissuto le certezze che il tempo ancora può consegnarci. Con la grazia del gioco linguistico, segnato a fondo da assonanze, richiami interni di ogni genere, omofonie, figure etimologiche vere o false, arcaismi, quindi giostrando abilmente la retorica del linguaggio poetico, l’autrice ci “accoglie” (altro termine importante del libro) tra le sue riflessioni, i suoi ricordi e i suoi bilanci; si distacca così dalla tradizione della forma, evitando quadretti e bozzetti legati alle stagioni e ammonendoci carezzevolmente, da questo «perso / groviglio, nuovo, di gridi antichi», come recita l’epigrafe da Pasolini, che «quel che / conta è donare».

 

Mariella Bettarini, Haiku alfabetici, disegni di Graziano Dei, postfazione di Annamaria Vanalesti, Il ramo e la foglia 2021, e. 12,00.

 

L > Luce

 

Illuminante

luce che illumini

tu luminosa

 

Viva lucente

tu che il buio allontani

fammi tu luce

 

Ti dico grazie

per quello che ci doni:

luce – sì – luce

 

Se tu non fossi

come faremmo – oscuri

cuori oscurati?

 

E invece vivi

vivacemente vivi

di vita fonte

 

  

domenica 7 marzo 2021

AILANTO n. 60 - su Adam Zagajewski

 





Non è facile tracciare criticamente in poche righe un percorso espressivo ampio, come è quello di Adam Zagajewski. Già esponente di punta all’interno di «Nowa Fala», il movimento che rinnovò profondamente la poesia polacca tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta, e di cui fecero parte altri poeti del calibro di Krzysztof Karasek e Ryszarsd Krynicki, Zagajewski si impose fin da subito per la straordinaria coerenza nella ricerca della contemporaneità a scapito della poeticità. «Vogliamo essere contemporanei, non poetici»: questo assunto fece di quel gruppo qualcosa di estremamente aderente al suo nome, che non a caso significa «nuova ondata». Negli anni Zagajewski ha conosciuto più territori e più mondi, fino a raggiungere il lettore di casa nostra con una bella antologia adelphiana del 2012; ma oggi, anche se a notevole distanza di tempo, possiamo disporre di una nuova e più ampia antologia, affidata alle cure di Marco Bruno, che per lo Specchio mondadoriano firma anche le efficaci traduzioni di Guarire dal silenzio. Il volume si costruisce intelligentemente a ritroso, partendo da una buona selezione delle ultime prove poetiche dell’autore, per giungere fino ai più antichi Negozi di carne, del 1975, e Comunicato, del 1972, il testo che fece conoscere Zagajewski e lo consacrò fra le promesse certe della poesia polacca e non solo. Dunque l’operazione è doppiamente meritoria, perché se da una parte ci consente di tornare a leggere un poeta di assoluto valore, dall’altra ne ricostruisce la fisionomia nel tempo, lasciando scandire le tappe della ricerca poetica di libro in libro, fino alle origini. Distesa così, la scrittura di Zagajewski si mostra non solo nelle sue progressive acquisizioni, ma anche in una humanitas spesso perduta e ritrovata per via lirica: si avverte immediatamente che intorno a questi versi gravita un mondo di presenze e di assenze, di incontri e di lutti, di memorie che si sovrappongono alla poesia stessa ricordandoci il flusso autentico della vita ordinaria, quella in cui torniamo a noi stessi, e «anche allora si può vivere». Si comprende così come l’idea di contemporaneo si sia progressivamente assestata intorno a un nucleo di quotidianità e affettività, senza mai perdere di vista, sullo sfondo, l’orizzonte spesso tragico della Storia. Basta appena un toponimo, un minimo richiamo, e la vicenda privata si estende a dismisura con un effetto di insolita e quasi straniante amplificazione fino a coinvolgere il lettore in un orizzonte imprevisto, la cui domesticità diventa nell’immediato accoglienza e coinvolgimento. In Zagajewski il dolore personale e il dolore della Storia procedono di pari passo, si intersecano anche in alcuni momenti della vicenda biografica, e la sua poesia ne riflette i movimenti più intimi e remoti, chiamandoci a parteciparvi e a non dimenticare.

 

Adam Zagajewski, Guarire dal silenzio, a cura di Marco Bruno, Mondadori, pp. 298, e. 22.

 

 

Charlie dichiarò una volta a New York

saremo amici – e fummo amici

per trent’anni.

 

L’amicizia è immortale e non ha bisogno

di molte parole. È paziente e serena.

L’amicizia è la prosa dell’amore.