martedì 20 settembre 2016

Per Anna Cascella Luciani

Quando ci accade di pensare, e poi di scrivere «non è per fare polemica», in realtà la polemica – e l’indignazione che le sta dietro e l’alimenta -  sono già montate. Non interesserà a nessuno, o magari a pochi, però sono indignato. Perché mentre l’Italia di fine estate si dà molto da fare sul fronte letterario, tra premi e kermesse di ogni genere, con tutti i poetanti che si affannano ad affollare festival autoreferenziali, c’è qualcuno che con la poesia ha una frequentazione autentica e che vive, del tutto in disparte, il proprio isolamento come una forma di indifferenza. Qualcuno che gli editori, oggi così generosi (forse troppo) con i poeti, rispetto al passato, si ostinano a non voler pubblicare. Qualcuno che lo Stato, dopo la concessione di un vitalizio, si è affrettato a dimenticare (sento già qualche voce levarsi per sostenere che avere un vitalizio, di questi tempi, è già molto, e dunque viva la sopravvivenza e al diavolo la dignità di una vita vera). Penso ad Anna Cascella, che da molti anni combatte nel suo quotidiano con una malattia tra le più terribili. Penso anche a certi aspetti del suo carattere duro, difficile, ma anche consapevole di un valore con cui la cultura di oggi non sa, non vuole, non può confrontarsi. Anna ha avuto un esordio tra i più nobili: i suoi angeli custodi si chiamavano Franco Fortini e Natalia Ginzburg. La sua prima raccolta apparve in un lontano collettivo nella collana bianca di Einaudi. Era il 1980, si intitolava Le voglie. Sembrava l’avvio di una carriera, sotto i migliori auspici; invece non accadde nulla. Molti autori di quei collettivi sono rimasti noti agli addetti ai lavori e non sono stati accolti nel catalogo einaudiano. Erano anni difficili, c’era stata una crisi che avrebbe pesato sull’identità storica dello Struzzo. Così altri poeti, del tutto nuovi, riuscirono a entrare in quella collana, e la damnatio memoriae andò a colpire la serie dei «nuovi poeti italiani».  Anna, poi, non era aiutata dalle sue spigolosità. Qualche anno dopo il suo editore divenne Vanni Scheiwiller. Apparve finalmente un libro organico, Tesoro da nulla, sotto gli auspici del premio senese «Laura Nobile». Fortini era in giuria e dimostrò la sua fedeltà e la sua coerenza, firmando anche il risvolto del volume.

Ancora un lungo intervallo di tempo, interrotto da qualche plaquette, da pubblicazioni in riviste, da preziose edizioni d’arte, avrebbe segnato quella vita poetica così piena eppure così discontinua nei suoi riscontri. E ancora un premio, il «Tarquinia Cardarelli», permise all’editore Gaffi di pubblicare l’opera omnia di Anna Cascella Luciani, per interessamento di Massimo Onofri. Nel 2011 apparve così Tutte le poesie, ma a distanza di pochi anni il libro risulta introvabile. L’editore non lo ha più ristampato. Eppure ad Anna non sono mai mancati i lettori autorevoli: ricordo una splendida, ampia recensione di un critico difficile e diffidente come Franco Cordelli, sul «Corriere della Sera». Come ricordo Anna, in una lontana lettura al teatro di Ostia antica, terminare la sua esibizione leggendo una poesia di Cordelli (taccio il commento di Franco, che mi sedeva accanto). Ora si annuncia un nuovo libretto, per le edizioni L’Obliquo di Brescia, che però hanno appena cessato l’attività, dopo trent’anni di bellissimi libri (e autori di tutto rispetto, tra i quali mi piace ricordare Attilio Lolini e Franca Grisoni). Così queste nuove poesie, “confezionate” in una copertina di Ettore Spalletti, saranno ancora una volta affidate a pochi, eletti destinatari. Ne scriverò, perché mi sono sempre occupato di quanto Anna va creando; ma mi spiace per chi non potrà ricevere quest’ultima fatica. Mi spiace (ma è un eufemismo) che un poeta autentico non abbia più un editore di riferimento. Non era accaduto anche a Pagliarani? Qualcuno potrà obiettare che ci sono poeti senza un’evoluzione interna. Sarà. Non è questo il problema. Marina Cvetaeva sosteneva che ci sono poeti con storia e poeti senza storia, ma non ne faceva certo un discrimine editoriale. Con questo criterio, che suona più come una scusa, o come una difficoltà a rapportarsi con l’autentico, oggi nessuno pubblicherebbe più Sandro Penna: semplicemente il maggior lirico del nostro Novecento, al quale, spesso, la poesia di Anna Cascella è stata accostata. Non entro nel merito della questione, che è quel che è: niente più che un paragone per consentire ai nuovi lettori di comprendere in quale area ci muoviamo. Ma, se rovesciamo la facciata, il negativo ci dice qualcosa di molto più inquietante. Esiste davvero una poesia, una poesia vera, che non siamo più in grado di sentire, di recepire? Quando calerà la grande polvere del presente, che ci impedisce di guardare ciò che abbiamo così vicino?