sabato 11 aprile 2015

venerdì 10 aprile 2015

Anna Cascella Luciani, Persefone 2015

Pubblico una poesia di Anna Cascella Luciani, su una figura del mito che è divenuta mio vicina di casa (magari un po' inquietante, ma non adesso che è primavera). Grazie, Anna.



(Persefone 2015)

e voi - nei vostri impieghi
di primavera - zefiri
ambiti - tardate
nell'uso delle forze - le miti
le dolci - che schiudono
i tempi a Flora (a noi umani
voi le rifiutate - ché
poco ci rimane in una
terra di morti - illimitato
numero giornaliero
- violento crudele
- sangue di fiele
d'altri umani mai portato
a fine - e anzi in ogni
campo città monte collina
scorre quello in brina
ghiacciata nelle vene
calde solo un momento
prima - e forse ė lo stesso
Ade a temere che la sua
Persefone sia uccisa
se si solleva con i vostri
venti - e voi stessi - privati
dell'arrivo - piangete
che sia sangue e non
linfa - non fiore azzurro
di lino - anemone
selvatico - viola - ma
mucchi ovunque di corpi
d'ogni età ammassati
in morte in Africa - in Iraq
in Siria - in Ucraìna - in Francia -
nello Yemen - e una strage
ha il seguito dell'altra -
che la memoria non può
tutte contenerle -
e alle uccisioni di guerre
altre si assommano - la follia
di un suicidio che incapace
di raggiungersi da solo
schianta in volo -
sulle Alpi in Provenza
più di cento umani e voi -
- zefiri umani - disertate
la terra illividita - e fate
ricorso a un rifiuto
a una scomparsa -
nascosti - lontani -
e le mani di Flora
solo nel buio dei morti -
aratro di zolle - di sentieri
dove è vivo il grido
degli uccisi - e semina
grani di dolore
tutta l'angoscia
dei loro cari vivi) -

venerdì 3 aprile 2015

Le biblioteche del futuro (e del presente)

Posto qualche riflessione su letteratura, web, nuovi supporti.

Si ha l’impressione, mettendo a confronto le più recenti riflessioni sul passaggio dai supporti tradizionali della fruizione del libro a quelli elettronici, di avvertire una sfasatura tra le acquisizioni della teoria letteraria post-crociana e le affermazioni e gli auspici (o i timori) di chi costantemente osserva l’evolversi di una situazione in atto. È innegabile, tuttavia, che un certo determinismo gravi sulla prospettiva attraverso cui guardiamo a queste trasformazioni, ma è altrettanto vero che nell’ottica lunga del “processo” storico, che è ancora una conquista del vecchio mondo, esse ritrovano le loro ragioni e la più giusta dimensione entro cui collocare la loro portata effettiva. Se la mutazione rappresenta un fenomeno in corso, evidentemente ancora agli albori perché se ne possano trarre conclusioni ancorché provvisorie (sia da parte di chi giudica con atteggiamento scettico o neutrale, sia da parte di chi ritiene di trovarsi di fronte a una nuova forma di espressione), è solo all’interno di una visione sistematica del problema che potremo rinvenire un’adeguata impostazione delle tematiche che ci coinvolgono, anzitutto sul piano della nostra identità, personale e collettiva.
Intendo dire che sarebbe un errore limitare le argomentazioni a certi singoli aspetti, isolando pertanto le azioni della scrittura e della lettura, poiché l’effetto sarebbe ben peggiore di una qualsivoglia periodizzazione frantumata. Se accettiamo l’idea del processo, per l’appunto, e rifiutiamo quella di una scissione storica tra la prima e la seconda alfabetizzazione (che altro non è che il riflesso di una contrapposizione ideologica francamente fuori tempo e fuori luogo) e riflettiamo più ampiamente con gli strumenti che la letteratura stessa ci ha messo a disposizione, non tarderemo a comprendere che ciò a cui assistiamo è sicuramente un evento di vasta entità, ma ancora fortemente limitato nelle sue stesse potenzialità. Siamo all’alba di una lentissima metamorfosi delle nostre facoltà comunicative e i nostri linguaggi, che sono la nostra identità, subiscono anch’essi questa sorta di rotazione antropologica che non può lasciare indifferenti la nostra grammatica, la nostra sintassi e il lessico di riferimento: ogni elemento della nostra espressività è chiamato in causa.
In questa visione sistematica, risulterà piuttosto evidente che le categorie classiche della comunicazione non potranno più essere intese come monadi a confronto, ma come parti di una più complessa fenomenologia in cui rientrano elementi altrettanto importanti: l’emittente non è più l’autore tradizionale, ma è una delle possibili sintesi di un intero modello culturale, di cui fa parte il destinatario. Tra i due, il canale comunicativo è rappresentato non solo dal mezzo (il libro cartaceo o l’e-book) ma anche da chi veicola in una determinata direzione quello stesso canale: l’editoria e il mercato. Le ricadute sul messaggio sono intuibili da chiunque. Ne viene che la nozione stessa di testualità si complica, fuoriuscendo da quell’aura di veneranda auctoritas che l’età della tradizione riconduceva etimologicamente al concetto di autore, demiurgo che forgiava verità al centro di un’assiologia pre-esistente e inevitabilmente pregiudiziale. Il testo messo in circolazione, vivo e vivente, diviene “opera” solo nel contatto concreto con il lettore. La letteratura sarebbe quindi un fenomeno che non passa semplicemente dalle mani dello scrittore a quelle del lettore, secondo un modello “2+2”, ma qualcosa che accadrebbe nella loro somma, nel loro incontrarsi. Le acquisizioni dell’estetica della ricezione, in questo senso, confortano una visione che è anche sociologica – e dunque non può prescindere da ogni discorso vòlto alla costituzione di una biblioteca – ma anche il ruolo dell’editore, che si configura in toto come elemento mediale, influisce su questa dinamica, per cui sarebbe più opportuno sostenere che l’opera è il risultato di un processo a sei mani, piuttosto che a quattro.
Questo sistema indubbiamente complesso è una rete di relazioni mai univoche che, dal punto di vista della formazione del nuovo lettore, pone e lascia aperti alcuni interrogativi, invece di dare delle soluzioni. Il primo di questi riguarda la materia stessa, la sostanza del tradere, che si fonda sulla possibilità di un canone. Ne deriva una posizione conservativa, museale della biblioteca, che è, a sua volta, l’espressione di una cultura classificabile, ordinabile, sintetizzabile e riferibile a un sapere certo, positivisticamente atteggiato. Certamente qualcosa di più di un residuo di umanesimo antropocentrico permane in questa visione, ma al termine di un secolo di diffuso relativismo (e di conquistata ampiezza e libertà di forme e generi) e all’inizio di un altro comunque destinato a essere segnato da nuove modalità di diffusione culturale, cosa possiamo ancora intendere con tradizione e canone? E se la crescente facilità di accesso a questi nuovi modi, per quanto ancora embrionali, rappresenta un processo di democratizzazione dei modelli, cosa rappresentano ancora la ricerca, la fondazione di uno stile, insomma tutti quegli ingredienti che innalzavano il tasso di letterarietà di un testo, facendone la sintesi di un’elitaria cultura highbrow di cui si sarebbe nutrito il canone del futuro?
Facciamo un passo indietro. Non è soltanto la relatività del canone a problematizzare la costituzione della biblioteca a venire. Anzi, è l’idea stessa di biblioteca che sarà chiamata a rispondere a esigenze in parte diverse rispetto al passato, da un lato esasperando il suo portato storicizzante, rendendo ancora fruibile il sapere dell’età della tradizione, dall’altro trasformandosi, con attenzione sempre più militante piuttosto che attualizzante, in un’entità mobile, in un servizio proteiforme e cangiante, quale possiamo intuire la letteratura: la quale, in virtù dei nuovi supporti (che l’i-pad o il kindle, in verità, ci lasciano soltanto adombrare) potrà liberamente esasperare la sua implicita ipertestualità, dirigendola verso forme di ibridismo, di cui la moderna contaminazione dei generi rappresenta solo uno stadio primitivo e sperimentale. Insomma, dalla letteratura della certezza, attraverso quella del possibile, ci troveremo infine a transitare nella letteratura del molteplice. Molto più concretamente il lettore di domani dovrà misurarsi, come già accade per il cittadino della tarda galassia gutenberghiana, con l’insorgere di nuovi generi o con la legittimazione di alcuni in un sistema letterario globale e pluricentrico, ciò che ha già riguardato, ad esempio, il fumetto e la webliterature.
Resta da definire, ammesso che sia fattibile e comunque fin da ora, con uno sguardo allargato al nostro presente, attraverso quali canali stimolare l’interesse per la lettura, tenendo presente che in quest’ambito i problemi sono costituiti sia dalla nozione stessa di letteratura per l’infanzia, vasto contenitore dai confini sempre incerti e discutibili, sia dal fattore dell’oralità, che fuor di dubbio si presenta come uno stimolatore dalla notevole carica maieutica. L’identificazione del destinatario sembra qui un compito relativamente semplice, ma non basta certo isolare alcune fasce anagrafiche, come quelle dell’età scolastica, per determinare con accettabili margini di esattezza la capacità di rapporto dell’utente con il testo, ciò che i teorici definiscono come competence; rispetto a questo concetto, in effetti, il panorama si è reso molto più fluttuante e, sociologicamente, più ibrido, non riuscendo più a distinguere tra un’educazione medio o piccolo-borghese e in ogni caso dovendo tenere in conto le recenti migrazioni e il multiculturalismo che ne consegue, per tacere del notevole incremento di nozioni, specie sul piano tecnico, di cui sono portatrici le giovani generazioni. In tal senso, almeno in linea teorica, sarebbe oggi possibile usufruire di questo spostamento in avanti di alcune competenze reali, per tentare l’accostamento ad opere un tempo relegate a un’età più matura. La presenza della guida adulta, inoltre, porta almeno a otto il numero delle mani che concorrono all’evento della testualità nella sua pienezza.
Se queste premesse hanno, come è sotto gli occhi di tutti, un loro fondamento e risultano condivisibili, i generi dell’avvio alla lettura che costituiscono l’ossatura della biblioteca nella scuola gutenberghiana subiscono una certa ossidazione, rispetto al quale la novità dei supporti solo in parte, o in parte ancora, offre soluzioni accettabili. Infatti la visione del sapere contemporaneo appare offuscata dalla mancata sinergia tra immagine e immaginazione, ciò che comporta, di fatto, un indebolimento del dominio della letteratura tradizionale, ovvero della sua capacità di agire immagini in ciascun lettore, quindi di ricreare, per proprio conto, l’universo narrativo di cui è chiamato a partecipare. Il problema si pone anche all’interno dei generi classicamente ascrivibili a una pedagogia dell’immaginazione, come la fiaba, che ancora si presterebbe, per la sua natura sovranazionale, come straordinario collante interculturale; mi riferisco, soprattutto, alla fiaba raccontata e quindi a un supporto primario di trasmissione, quale è la voce del genitore o dell’insegnante. Già il libro illustrato, oltre a presentarsi come un prodotto in cui il piano della rappresentazione verbale e quello della rappresentazione figurativa spesso si sovrappongono l’un l’altro senza mai davvero incrociarsi, confonde le coordinate della ricezione, limitando l’esercizio di accompagnamento che ogni parola implicitamente compie nella mente del lettore; laddove la componente figurativa prevale su quella testuale, fino ad assumere un carattere ludico come nel pop-up, questo dominio è davvero ridotto a mero espediente di adescamento del lettore, ciò che si motiva solo se il risultato sarà quello di averne creato uno con un sufficiente livello di consapevolezza e pronto a misurarsi con il pieno dominio del testo scritto.
Analogamente l’altro genere principe del processo formativo gutenberghiano, la poesia, spesso nella fattispecie della filastrocca, sconta una certa stanchezza nella sua diffusione, con il rischio, purtroppo riscontrabile al termine del percorso scolastico, di allontanare per sempre dalla letteratura. Al processo della fruizione mnemonica si è andato sostituendo quello dell’interattività, ovvero del portare allo scoperto i meccanismi primari dell’elaborazione del testo, i suoi ingredienti e le loro relazioni, allo scopo di rendere ulteriormente partecipe il lettore, chiamato a incarnare, in versione fac-simile, il ruolo che è del poeta. Nonostante questo limite evidente, l’appropriazione delle tecniche espressive, sebbene a un livello necessariamente elementare, ha tradotto in un approccio concreto e tangibile la sostanza ipersegnica e ipertestuale della poesia, rappresentando, con essa e attraverso di essa, un formidabile vettore educativo all’elaborazione del linguaggio e comunque stimolando la sensibilità: in questa direzione, il processo attuale di informatizzazione offre possibilità ancora inesplorate proprio sul piano didattico, ampliando le modalità di trasmissione di un sapere arcaico nel quale ancora non ci è dato di non identificarci.
Sugli aspetti e sulle manchevolezze, reali o presunte, della letteratura sul web o comunque nella cornice digitale, e di quelli della letteratura direttamente prodotta sul web e per il web, molto è già stato scritto, ma è pur vero che si tratta di valutazioni in tutto e per tutto condizionate dalla virtualità dell’oggetto. Nonostante i grandi passi in avanti, l’alfabetizzazione informatica rappresenta un dato ancora relativo perché possa essere preso in considerazione come un marcatore sociale pienamente attendibile, così come l’informazione su quanto appare in rete è ancora un’entità labirintica, almeno quanto la rete stessa. In ogni caso, è davvero possibile, a questo stadio, sciogliere la riserva sul nostro rapporto con l’oggetto, inteso come supporto cartaceo o digitale? Possiamo davvero essere certi, ad esempio, che la cornice informatica rappresenti una limitazione nella fruizione spazio-temporale del testo? Quando affermiamo che la democrazia del web in realtà ottunde le nostre capacità di selezione, stiamo elaborando un rifiuto o un contributo? O, invece, la scarsità dei nostri approcci rende inutili i nostri giudizi e le nostre perplessità, ancora sottomessi a un regime umanistico, a un rapporto per certi aspetti feticistico con il prodotto gutenberghiano? Restia a un atteggiamento conservativo e apocalittico come a un incondizionato aderire a qualcosa di indefinito, la biblioteca scolastica non deve perdere la sua identità didattica, arricchendola e complicandola con ogni nuovo supporto disponibile, ma senza mai perdere di vista quel dominio della parola scritta, anche nel suo relazionarsi con altri linguaggi, attraverso cui la mente si fa mente pensante e la cultura si fa elaborazione di una consapevolezza critica.