lunedì 28 dicembre 2015

Un pomeriggio a Frascati

Raggiungo finalmente Frascati in un pomeriggio freddo di fine novembre, dopo aver superato gli incagli del traffico, e già preoccupato di arrivare in ritardo. L’appuntamento è importante: dovrò incontrare gli studenti che hanno letto e discusso il mio libro Solstizio, e che dovranno votarlo per la finale del Premio Antonio Seccareccia. Non è tanto l’esito di quella votazione a tenermi in ansia, quanto il fatto di dover dialogare con loro, rispondere a tutte le loro domande. Le domande dei giovani non si possono eludere, e non è mai garantito che siamo in grado di rispondere a tutte, che sappiamo in fin dei conti farlo. Le loro attese superano le nostre, che hanno già conosciuto battaglie e disincanti; il loro modo di leggere il mondo è assoluto, ma in questo ancora ci somigliano. Chiederanno come ho cominciato, quando, dove; cosa significa per me fare poesia; cosa significa farlo oggi, nel nostro confuso presente. Ma dovrò ricordargli, e ricordare a me stesso, che ogni presente è confuso, e che a volte neppure la coperta del tempo è abbastanza lunga da coprire le nostre disillusioni o da proteggere le nostre speranze e le nostre verità.
Entro in una vasta sala delle Scuderie Aldobrandini, sotto un’alta capriata; in cima alle scale mi viene incontro, ironico come sempre, Aldo Nove, che mi rimprovera bonariamente il ritardo e mi annuncia ridendo l’esclusione dalla terna dei finalisti. Poco oltre Alberto Toni scoppia in una gran risata. Ci conosciamo da molti anni, seguiamo il nostro reciproco lavoro: più che una competizione mi sembra una rimpatriata tra vecchi amici. Il clima cordiale però non stempera la mia ansia e davanti a me si apre una platea piena di studenti e insegnanti. Mi accoglie Andrea Caterini, che modererà l’incontro, anche lui visibilmente in difficoltà; già, perché su quelle sedie stanno anche bambini delle elementari, e la loro presenza rende l’impresa ancora più difficile. Dovrò insistere sul massimo di sincerità, non nascondere loro proprio nulla.
E infatti, puntuale, arriva la domanda. Che senso ha la poesia, come ci difende dall’aggressione della realtà. Recito una battuta consueta, per me: se mai la poesia dovesse servire a qualcosa, serve a non diventare servi. Non è solo un gioco di parole, che comunque cattura la loro curiosità; devo infatti insistere e dimostrare che la poesia, che è esattezza, precisione, sintesi, tiene sempre alto e vigile il livello della nostra coscienza. Al termine dell’incontro, Rita Seccareccia mi viene incontro e mi dona una ristampa delle poesie del padre. Apro a caso, e trovo una risposta anche per me: «Son passati degli anni con niente, / e nessuno sapeva più nulla / d’un piccolo seme gettato / per caso, per giuoco alla terra».

Devo averli convinti. Il pomeriggio seguente Arnaldo Colasanti mi annuncia la vittoria del premio.

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