martedì 29 dicembre 2015

AILANTO n. 24 - Su Alessandro Ricci




Una nuova collana di poesia, a Torino, per le Edizioni Coup d’idée. Si intitola «La costellazione del Cigno», e del cigno ha tutta l’eleganza. Il marchio risponde infatti a una casa editrice d’arte, la cui ideatrice, Enrica Dorna, si è avvalsa di Giulio Paolini per il progetto di copertina. All’eleganza si aggiungono dunque il minimalismo, l’economia e la sobrietà del grande artista concettuale.
Accompagnate da un denso saggio di Stefano Agosti, la collana ha proposto quest’anno le poesie di Alessandro Ricci, in una bella scelta antologica che tiene conto della complessità e delle fasi del percorso creativo di questo autore. Quello di Ricci non è un nome sconosciuto ai cultori della poesia; legato al gruppo di poeti che animavano negli anni Ottanta la rivista romana «Arsenale», e in particolare a Francesco Dalessandro, per un certo gusto della sprezzatura che caratterizzava alcuni di quei poeti, compreso il loro animatore Gianfranco Palmery, Ricci ha pubblicato in vita solo due raccolte di versi. Dunque la confezione grafica non è accidentale, ma rispecchia pienamente un aspetto condiviso: rare e misurate apparizioni, spesso in plaquette o presso editori raffinati e appartati, ma tutt’altro che secondari. Anche le Edizioni «Il Labirinto», presso cui usciva «Arsenale», appartengono a questa specie e continuano a rappresentare ancora oggi la vitalità di quell’esperienza, sotto la guida sapiente di Nancy Watkins. Proprio presso Il Labirinto Dalessandro aveva pubblicato una terza raccolta di Ricci, nell’anno della sua prematura scomparsa, il 2004. Recava un titolo suggestivo, I cavalli del nemico, ma non da meno erano quelli delle altre due sillogi, Le segnalazioni mediante i fuochi (1985) e Indagini sul crollo (1989), prefate entrambe da Roberto Pazzi.
La scelta è stata compiuta e allestita dallo stesso Agosti e approvata ancora una volta da Francesco Dalessandro, con la cura e la coerenza che contraddistinguono il suo lavoro (il suo compito?) di tenere viva l’attenzione verso l’opera dell’amico. Comprende importanti selezioni dalle tre raccolte sopra citate, ma anche un’interessantissima anticipazione da una quarta raccolta, L’Editto finale, apparsa nel 2014. Scrive Agosti nel suo intervento che a caratterizzare la poesia di Ricci è un processo di «attualizzazione della temporalità storica». Semplifico un po’ rispetto alle dense pagine del critico e ai suoi autorevolissimi riferimenti teorici, ma è evidente quanto la presenza dell’antico, in questo poeta, sia di ordine per nulla strumentale, nel senso che egli non si serve dell’antico come tema o peggio come moda, ma se ne lascia attraversare portandolo nel nostro presente. Ogni riferimento storico non resta allo stadio di referente culturale, ma permea dall’interno questa scrittura, la modula incessantemente, ne fa, insomma, uno stile autentico e inusuale in coda al secolo delle sperimentazioni, senza alcuna volontà programmatica, ciò che avrebbe significato limitare il lavoro di Ricci a quello di un epigono o di un neo-classico fuori tempo massimo. Basterebbe a testimoniarlo, proprio sul piano dell’attualità, il ciclo dedicato a Giuliano l’Apostata, per farci accorgere quanto nel moderno batta un cuore antico, e quanto l’antico fosse già, suo malgrado, classico. Opportunamente Agosti richiama Housman e Kavafis. E Yeats (ma vedrei meglio Rilke). Aggiungerei, senza allargare troppo il campo, almeno Herbert.

Alessandro Ricci, I colloqui di Elpinti, con un saggio di Stefano Agosti, Coup d’idée 2015, e. 14.00

Giuliano

Allora Giuliano, dopo
una notte insonne ma non
inquieta, all’alba quando
ogni tenda del campo
gli parve una duna come
ben oltre le sabbie,
infinite a perdita d’occhio, lisciate
dal levante che le invadeva, le issava
in un mare di chiaro:
                                           là:
percorrendo piano il perimetro
senza il contegno del capo,
rispondendo con un sorriso
al saluto quasi commosso
delle guardie di turno,
insonnolite all’ora del cambio
- saluti e sorrisi così simili
a quel lontano silenzio vibrato
nell’aria ferma, così diversi
dall’uso, così
nuovi -, pensò alla consapevolezza
e ai sussurri, a quella morbida
e rassegnata complicità,
pensò alle navi
che s’era bruciato alle spalle
i cui fumi forse si mescolavano
al velo gentile dell’enorme
giornata che si gonfiava,
ad altri pochi momenti,
in un solo ricordo adunati,
invadente ma non spietato,
senza rimpianti.
                                  Poi,
pensando a tutti
i suoi uomini che di lì a poco la tromba
avrebbe svegliati, si disse piano
che suoi erano pure l’errore e la colpa
del destino che li attendeva, ma non
del suo, cui mancava
appena qualcosa,
un gesto,
per la piena armonia.

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