All’avvio della Commedia, nel I canto, Dante ci dice che
al levarsi del sole si attenua la paura che gli è durata tutta la notte «nel
lago del cor». A distanza di secoli, Montale riprende quest’immagine e fa del
cuore di Dora Markus, così profondamente inciso dalla Storia, un «lago
d’indifferenza». Non so quanto coscientemente l’autore abbia inteso riprendere
quell’immagine, ma ho avuto la precisa sensazione che anche per l’ultimo libro
di Cucchi sia accaduto qualcosa di analogo: Malaspina, il piccolo lago che dà
il titolo al volume, è il lago del cuore, o meglio, è il nome con cui il poeta
riconosce, identifica il suo cuore-lago.
La poesia moderna ci ha abituato
all’uso frequente di toponimi, di nomi geografici, perfino di semplici strade
(chi non ricorda la via Scarlatti di Sereni?), che acquistano uno straordinario
potere di evocazione. Così anche un piccolo lago può diventare il nome di una
potente metafora, che la tradizione non è ancora riuscita a usurare.
Immaginiamo questo lago calmo in superficie, ma profondo, icona di quelle
sospensioni felici come di quelle adesioni improvvise che scandiscono il ritmo
autentico, percettivo e sentimentale, di tutto questo libro.
Una doppia dimensione,
orizzontale e verticale, accoglie queste poesie: la prima contiene luoghi,
eventi, persone; la seconda, invece, si riempie di memorie e reinvenzioni, così
strettamente intrecciate tra loro nella dinamica compattezza della metafora.
Ovvero quella di un io che si espande e si misura con le sponde porose del
proprio mondo fenomenico e che insieme si cala, discende dentro se stesso, fino
a imbattersi nella propria natura più misteriosa e contraddittoria.
Non sorprende, allora, che anche
il berretto a sonagli, così novecentesco, così pirandelliano, sia rievocato in
questi versi non tanto per indicare la follia, vera o presunta, ma la scoperta
ben più radicale di un’alterità dell’io, della sua resa alla molteplicità delle
cose, ai loro intrecci più sconosciuti. Gli emblemi della discesa (l’ennesima descensus ad inferos della modernità
lirica) ci sono davvero tutti: il poeta è una specie di archeologo che
s’avventura nella cantina della propria memoria. E qui può ritrovare, come
emerse dal fondo melmoso di un lago, ombre riconosciute o fittizie, rifrazioni
e proiezioni che gli si fanno incontro traversando quell’inusitato spazio
metaforico, fattosi comune, condiviso con il lettore: quello spazio dove le
verità parlano la lingua di una commedia e la commedia appare infine vera.
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