martedì 14 ottobre 2014

Antonio Fiori su Solstizio

Posto una recensione di Antonio Fiori su Solstizio, apparsa su facebook. Grazie!


Solstizio, l’ultima raccolta poetica di Deidier, è un'autoantologia che sfida il lettore alla ricostruzione di luoghi ed eventi, a riconoscersi pure, ogni tanto, ma anche a stupirsi, impegnarsi a riscrivere la 'propria' poesia Latore di luoghi, età, momenti diversi, è qui lo stesso autore a cercarsi, sin dall’inizio: “Sono fermo non so dove e non ho occhi”. Certo “La vita chiama/ di là dalla parete dell’istante” ma c’è una voce coscienziosa che invita a resistere: “Resta qui” ripete la mia voce”. Una poesia dunque che esita, consapevole di quanta fatica e di quante ferite riservi la vita, del suo dover essere all’altezza del compito.
Il poeta, nella sezione centrale della raccolta - ‘La fossa dei leoni’ - da voce a grandi personaggi biblici, esercizio prezioso per radicare e rinforzare la parola (“partivo senza bagagli di parole”); il risultato, alla fine, è omaggio anche a Lee Masters.
Ma per un ritratto di Roberto Deidier, invito a recuperare sia i luoghi di questa poesia (“la città vista in sogno”, “la città dai fiumi interrati”, Mantova, Palermo – “città del doppio regno” - e ancora stanze, letti, scorci, vedute e “questa casa, sono stato questa casa”), che gli incontri di cui è debitrice, amorosi e non, registrati con mutevolezza di toni e di stile. Affiora ogni tanto Raboni: “Se mai accadesse di trovarmi a scoprire/ Il nome vero del gioco che facciamo/ Fuggirei da te come da troppa luce”; “Per averti dissimulo l’averti”. Ma spesso il verso d’amore è semplice, quasi dimesso: “Sembra dire e intanto fissa un punto/A lei sola noto. Tra il corpo/ E il giorno, dove non sa dormire/ L’esperienza di un’arte proibita.//Quelle labbra serrate ancora sporche/ e lo sbavo del trucco sulla guancia”. E all'improvviso, ancora quella voce, bussola con cui non si discute: “…e una voce conosciuta/ da qualche luogo interno ti richiama”.
Il poeta, infine, nell’ultima sezione, totalmente metapoetica, si riconcilia con la sua Musa, e da un pregresso - “Chiudo la porta e so che non ritorno” - Solstizio si conclude con questo verso umile, rivolto alla Poesia: “Ti chiedo a voce bassa di tornare.”. Ed anche il buon lettore, ultimata la lettura di Solstizio, sente di dover tornare: i sopralluoghi infatti riservano sempre sorprese e nuovi significati.


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