mercoledì 4 febbraio 2015

AILANTO n. 14 - Su Alberto Toni



Nella collana di «Poesia contemporanea» delle edizioni Nomos, diretta da Marisa Ferrario Denna, è apparsa  una nuova opera di Alberto Toni, Vivo così, introdotta da alcune lucidissime osservazioni di Mario Santagostini. Non saprei dire di meglio, rispetto a quanto afferma il prefatore in queste sue brevi, ma dense annotazioni di lettura, e dunque mi perdonerà se ne riprendo il filo (o i fili). Santagostini non entra nel vivo di ciò che il libro ambirebbe a raccontare, in ciò che ne potrebbe rappresentare l’ossatura tematica, e si comprende subito perché. A catturare la sua attenzione sono due problemi, anzitutto: una questione di genere e la modulazione del ritmo, intimamente connesse tra loro. Vengo subito alla prima, per la quale non si esita a definire il testo come «borderline»: Toni ha da sempre rimescolato le carte tra lirismo ed epicità, fin dai suoi lontani esordi, e ciò rappresenta una caratteristica ormai tutta sua, un sigillo della sua scrittura. Non si tratta soltanto di cogliere o tratteggiare delle sfumature tonali, c’è qualcosa di più: nel lessico, nell’impostazione di fondo, che di fatto oscilla tra queste due dimensioni, non all’insegna di un’indecisione, né tanto meno di un’irresolutezza. Siamo di fronte a una scrittura naturalmente anfibia, in questa prospettiva.
Come il genere è indefinibile (Santagostini richiama a sostegno delle sue osservazioni un’intera tradizione della modernità, e non lo si può certo contraddire), anche il ritmo sembra mimare il proprio discendere da retaggi più o meno riconoscibili, in realtà lasciando cogliere certe libertà, certe irregolarità, o anche ambiguità metriche, rispetto alle quali si riconferma l’ipotesi di partenza: siamo di fronte a un verso lirico o a un verso narrativo, o che possa ambire alla narrazione? Tutta la struttura di Vivo così ci lascia su questa altalena, spingendoci ora verso un’ipotesi, ora verso l’ipotesi opposta. In realtà la poesia di Alberto Toni vive di una complementarità tra esposizione del soggetto (lirica) e narratività (corale, dove l’io è solo uno dei vari personaggi di una storia possibile). Queste due pulsioni sono fuse, da sempre, in un unico registro, che però si sviluppa a partire da due punti di osservazione differenti: quello della concretezza e quello dell’astrattezza. Oppure, se si preferisce, tra particolare e generale, il tutto senza alcuna soluzione di continuità, ma tramite accostamenti, sequenze dirette. Accade quasi ad ogni pagina di questo libro.
Forse se ne possono spiegare le ragioni in quella ricerca, tutta etica, di “esemplarità” che mi pare la più autentica ambizione di Toni. È un’esemplarità che si trascina sulla soglia dell’allegoria senza mai varcarla del tutto, per approdare subito dopo a un profondo sentimento di realtà, a un bisogno di ritrovarsi dentro le coordinate consuete. È in questa tensione che si fonda l’ipotesi di romanzo a cui Santagostini allude. Ci sono nomi, personaggi, perfino un tu con cui costantemente dialogare. Si avverte, dietro ogni poesia, la presenza di un dolore che non sa risolversi solo nel privato, ma che vuole essere condiviso, e dunque farsi voce corale, esperienza di tutti: «attesa», dunque, vigilia» (lessico ermetizzante) che cessino trappole e assedi e un nuovo tempo si presenti con tutto il «viatico del non accaduto».

Alberto Toni, Vivo così, introduzione di Mario Santagostini, Nomos 2014, e. 14.00.

Se con animo lieto un passo intorno al mondo
fosse l’anello ritrovato,
distribuito come campione d’amore.
Tienimi per quel giro stabilito: presto,
nel tempo di natura vorrei stare.

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