mercoledì 14 gennaio 2015

Due minuti all'ombra








Per le (sempre) meritorie edizioni on-line della rivista «La Recherche» (www.larecherche.it) , è apparso nello scorso autunno un piccolo ma denso e-book di versi, intitolato Due minuti all’ombra. L’autore è un giovane palermitano, Davide Gariti, che con questa pubblicazione è al suo esordio in poesia. Premetto che il nome di Gariti non è frequente nelle cronache poetiche, sia per un suo certo gusto di distillare la sua presenza, sia perché è la prima volta che si affaccia su questo universo attraente, quanto instabile e spesso umorale, esponendosi al confronto e al giudizio dei lettori; i quali, stando ai numeri dei downloads, non stanno venendo meno. Il segnale è confortante: la rete funziona, nonostante tutto, e lascia ancora filtrare esperienze di spessore, come questa.
Ho seguito la vicenda umana e poetica di Davide, il suo inesausto cercarsi e interrogarsi anche nelle parole altrui. La sua necessità di misurarsi con quanto gli sta intorno, nel bene e nel male, è davvero disarmante, e parla il linguaggio di una profonda limpidezza interiore, di un naturale disporsi ad accogliere le sollecitazioni del mondo esterno, anche quando disturbano, quando provocano scossoni inattesi. C’è, nel ritmo dei suoi versi, qualche segnale di queste improvvise sorprese e questo significa, per me, che la sua poesia cerca di stare alla sua vita in quella che Saba definiva l’«onestà» dei poeti, concetto che spesso, troppo spesso, è stato infelicemente trascurato o addirittura frainteso. Il ritmo di Davide, così apparentemente piano, è visitato da queste piccole perturbazioni che appartengono al suo sentire e ne fanno qualcosa di mobile, di vivo. Già nella poesia d’apertura il lettore può facilmente avvertire quei minimi stacchi che aprono universi e vertigini, dietro una quiete che sembra facile: «Due minuti all’ombra / di una tettoia provvisoria / pestando il seme che andrà / giù, nel ventre della cura / a guardarti, a toccarti / respirando la terra / esplodendo di germogli». Pochi versi, quasi un appunto veloce, un bozzetto, eppure tutto è così astratto e l’immagine iniziale, che fissa un’abitudine quotidiana, un momento forse della stagione estiva, finisce invece con un più ampio rito della natura, rivisitato in chiave metaforica.

Sono proprio questi scarti a dare ragione della densità di cui Davide si è nutrito e continua a nutrirsi, dietro la falsa chiarezza dei suoi versi; che non restano bozzetti in virtù di queste virate verso le regioni di una personalissima trascendenza, ovvero della capacità di portare il mondo e reinventarlo dietro le proprie parole. C’è sempre qualcosa di più, dietro le descrizioni o le micronarrazioni di queste poesie: un’inquietudine di fondo, che non sa rassegnarsi né estinguersi, ma che Davide sta imparando a calibrare con una certa sapienza. La sapienza del distacco. Mai indifferente, il poeta osserva il mondo e lo attraversa per poterlo cantare, ma la sua visuale è sempre una misura precisa, un necessario mettere a fuoco. È lungo quella misura che Davide trova i motivi del suo fare poesia.

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