Sabato 25 settembre sarò a Castelvetro di Modena per parlare di All'altro capo con Alberto Bertoni. Saranno presentati anche i libri di Stefano Simoncelli e di Elisa Donzelli.
Grazie ad Alberto e a Roberto Galaverni per avermi voluto con loro.
Sabato 25 settembre sarò a Castelvetro di Modena per parlare di All'altro capo con Alberto Bertoni. Saranno presentati anche i libri di Stefano Simoncelli e di Elisa Donzelli.
Grazie ad Alberto e a Roberto Galaverni per avermi voluto con loro.
È online il programma di Pordenonelegge 2021.
Domenica 19 settembre, alle 17.00, insieme a Carlo Carabba saremo presentati da Massimo Gezzi alla Libreria della Poesia, Palazzo Gregoris.
Grazie agli organizzatori Alberto Garlini, Valentina Gasparet, Gian Mario Villalta.
Il programma completo su www.pordenonelegge.it
Nella collana di Poesia dell’editore Donzelli, diretta da Elisa Donzelli (ricordo il suo recente Album per Nottetempo), è appena apparso un libro di Franco Loi. Devo subito dire che non si tratta di una raccolta postuma, disposta dallo stesso poeta o allestita da un curatore; non si tratta neppure di un’antologia. Il titolo, Vòltess («Vòltati») mi ha ricordato di cosa poteva trattarsi. Nel 2003, a Palermo, mi trovai coinvolto nell’organizzare un evento per la Giornata mondiale della poesia. Chiesi all’amico Umberto Fiori di partecipare e lui accettò volentieri, proponendomi di esibirsi con Tommaso Leddi (si ricomponeva così una parte degli Stormy Six, uno dei gruppi di punta del rock progressivo italiano); insieme avrebbero eseguito e cantato dei brani su testi proprio di Loi. Quel progetto, che comprende ben dodici canzoni («come uno zodiaco», scrive Leddi nella postfazione al volume) si intitolava, per l’appunto, Vòltess.
Il libro che oggi ho tra le mani riproduce, arricchito di un bel cd, quel progetto. Vi ritrovo i dodici brani, con testi variamente presi dalle varie raccolte pubblicate da Loi in vita. Musica di Leddi, voce di Fiori: un connubio felice e ben collaudato, che esalta la forza espressionistica della poesia di Loi, rappresentando un capitolo del tutto nuovo nella storia della canzone milanese: Leddi stesso rievoca la presenza di Nanni Svampa a una delle loro esibizioni, in cui lamentava la carenza di scurrilità, com’è della tradizione lombarda. Non è certo questa la corda primaria nei versi di Loi: Leddi e Fiori hanno lavorato insieme, da profondi conoscitori del poeta, e possedendo anzitutto gli strumenti della musica e della poesia, sui temi portanti di quell’opera poetica. Vòltess è dunque un collage, dove a volte i testi sono mescidati tra loro, proprio privilegiando il versante tematico; il lettore ne rintraccerà facilmente le fonti nella nota conclusiva. Nella bella, partecipe introduzione, Fiori rievoca alcune di queste linee centrali, ispirate da una certa visionarietà espressa in una «lingua fraterna», secondo una definizione di Brevini, bastarda e inventata, ricca di impennate foniche e non certo facile a tradursi sul pentagramma; ma la scommessa è stata senz’altro vinta. Più che al volume, che riproduce i testi rielaborati, nella traduzione non di Loi ma dello stesso Fiori, bisogna prestare attenzione al cd, meritoriamente allegato dall’editore, perché è lì che il senso di tutta l’operazione può finalmente palesarsi. E, soprattutto per chi non è lombardo o non ha affinità con quei dialetti, è possibile ascoltare il suono di una lingua poetica tra le più incisive del nostro secondo Novecento.
I temi sono quelli a cui il lettore di Loi è ben avvezzo: storia, memoria, nostalgia, viaggio (in questo caso in treno, come nella seconda canzone). Insieme vengono a comporre una sorta di sistema, richiamandosi l’un l’altro nella ricostruzione di una densa cartografia esistenziale che dal privato guarda sempre al collettivo, alla ricerca (il cercare è un altro termine chiave di Loi) di una significazione più ampia, sempre più ampia (cercare «più in là»), com’è della grande poesia radicata al sentire e tesa al reinventare la realtà, anche nel colloquio con una divinità che nessuna ragione può identificare e circoscrivere; ma la religiosità di Loi sarebbe già un capitolo a parte che Vòltess si limita ad accennare, suggestionando l’ascoltatore e invitandolo a rileggere questo poeta straordinario. Scelgo una poesia in cui non è difficile riconoscere gli «hollow men» di Eliot, o «gli uomini che non si voltano» di Montale. Non so quanto del loro afflato metafisico pervada la poesia di Loi; mi piace piuttosto rimarcare, in lui, una concretezza e una matericità di cui il ricorso al dialetto è immediato segnale.
Franco Loi, Vòltess. Poesie musicate da Tommaso Leddi per la voce di Umberto Fiori, con cd allegato, Donzelli 2021, e. 19,00.
Sono sordi, sono ciechi
È difficile parlare con un popolo di morti,
che io tendo l’orecchio e loro non ci sono più.
Sono sordi, sono ciechi, e la loro lingua è storpia.
Fredda memoria, colore dei tempi andati…
Milano fatta di idrossido, ululare di macchine.
Strade vuote dove gli uomini, ciechi, non sanno più trovarsi.
Segnalo un convegno molto ricco che si terrà online nei giorni 25-27 agosto. Il mio intervento è previsto per il 27 alle ore 14,20. Ringrazio gli atenei che hanno sostenuto e promosso il progetto e tutti i colleghi che lo hanno seguito, dandogli forma. Troverete il programma completo sul sito della MOD, la Società italiana per lo studio della modernità letteraria (www.modlet.it).
Misurare il tempo vuol dire conoscerlo veramente? Saperne la direzione inesorabile rappresenta già un esorcismo contro la morte? In Linea intera, linea spezzata, il suo ultimo libro edito nello Specchio mondadoriano, Milo De Angelis converte le immagini tradizionali del tempo come vettore in una dimensione di silenzio e di annullamento; le stesse categorie di “intero” e di “spezzato” sembrano messe in discussione, in una sorta di geometria esistenziale a cui manca inevitabilmente un punto di origine, la prospettiva in cui incorniciare la presenza di un trauma e di un dolore, che aleggiano sul quotidiano senza il peso concreto della loro genesi, ma pervadendo ogni cosa. È così che il «tutto» (il termine forse a maggiore ricorrenza nella raccolta), il “grande tutto” di matrice biblica può tramutarsi nel «grande niente» che emerge da questo scavo notturno del soggetto nelle sue peregrinazioni ad ora insolita, mettendolo ancora una volta di fronte alla grande antagonista.
Se le cose stessero semplicemente così, ci saremmo imbattuti in una dichiarazione di explicit, di cupio dissolvi in un tempo anagrafico segnato dalla stanchezza; eppure quella stessa stanchezza, che è il risultato di un lungo confronto agonistico, più che alla discesa verso la morte lascia pensare a una sconfitta, a un arrendersi all’assenza di quel punto originario che più si mette a fuoco e più si sottrae, consumando energie vitali, indispensabili, e insieme nutrendo di senso tutto l’arco di un’esistenza, dalle memorie adolescenziali fino agli eventi più prossimi. La spinta del ricordo nutre tutte queste nuove poesie di De Angelis, che recano la chiara matrice mnestica di una rievocazione di ombre; ma queste non appaiono in un possibile catalogo di destini, piuttosto intervengono a definire l’identità stessa del soggetto che le ha richiamate da un passato indistinto, che solo qualche dettaglio minimale può – e non sempre – aiutarci a riconoscere.
Tra l’«oceano dell’infanzia» e il «cimitero della tua stanza» si stende tutta questa palude autobiografica, senza un confine preciso, «tra un nulla e l’altro nulla»; ciò che rende anche il presente un teatro di spettri e miraggi, dove in uno scenario urbano e suburbano perfettamente coerente con i paesaggi a cui De Angelis ha abituato i suoi lettori, la notte diviene la quinta necessaria al manifestarsi di ombre e memorie, consentendo pericolosamente al silenzio di dilatarsi fino a invadere il margine stesso di dicibilità della parola, il suo scolpire la sconfitta. Ne trapela, qui e là, un sentimento di vergogna, che si assimila, in sede di poetica, a quel tipico procedere per baluginii e frammenti che da sempre segna la scrittura di questo poeta, ancora saldamente collocato in quel solco della modernità dove la visione del tutto diventa accecamento, ferita: «L’intero ti fa sanguinare». Così, nel culmine di questo vagare notturno, di questo viaggio senza meta, appare un’ombra non così singolare tra quelle che compongono la costellazione di autori a cui De Angelis ama riferirsi: quella di Gottfried Benn, a ricordarci il sussurro di «una parola / prossima al nulla».
Milo De Angelis, Linea intera, linea spezzata, Mondadori 2021, e. 16.00
Bon dodo
Bon dodo, bon dodo, bon dodo, ti dicevano
alle nove di sera ma non potevi
dormire e troppo forte risuonavano le campane
nel cimitero della tua stanza e tu hai imparato subito
che i morti non restano fermi, entrano nel sonno
di ogni bambino oh quanta terra sparsa sul cuscino
quanti baci di puro spavento, quanta neve
sulle lenzuola, quante volte
si accartoccia l’albero del noce, quante volte.
Che certa poesia italiana abbia una predilezione per l’haiku è ormai un fait accompli. Esistono anche premi, in questo senso, sponsorizzati dall’ambasciata giapponese; si pubblicano antologie, si organizzano rassegne. Anche autori di fama ne hanno scritti, talora cimentandosi in forme più tradizionali, diciamo ortodosse (ma si ricordi che l’haiku italiano è una forma molto addomesticata dell’originale): per esempio Margherita Guidacci. Ora un altro poeta di area fiorentina, Mariella Bettarini (che qui propongo in un bel ritratto fotografico di Dino Ignani), congeda un piccolo, denso libro di haiku, ma portando nella scrittura alcune novità sostanziali. Bettarini, infatti, affronta l'haiku reinventandone dall’interno la struttura, che pur restando quella canonica dei tre versi di cinque, sette, e ancora cinque sillabe, in realtà si distende in una sorta di dialogo simpatetico con il lettore. Assistiamo a un ampliamento discorsivo, a un consegnarsi della parola non solo di verso in verso, ma anche e soprattutto di movimento in movimento. Gli haiku di Bettarini seguono precisi percorsi tematici suggeriti dall’ordine alfabetico, così la raccolta viene a configurarsi come un vero e proprio libro, un macrotesto con un suo ordine dove nulla può essere spostato o sottratto; ogni lettera è scandita in cinque movimenti interni, ciascuno corrispondente a un haiku. Non può non venire in mente, dietro la grazia e la leggerezza del dettato, l’idea di una decisa sperimentazione, di un progetto coerentemente perseguito, come nel caso dell’Ipersonetto di Andrea Zanzotto. Una sorta di iper-haiku è quanto Bettarini ci offre di tappa in tappa, dalla “a” di Animali alla “z” di Zenith. Ho parlato di leggerezza, ma in realtà – questo è sempre il miracolo della poesia – l’autrice insegue massimi sistemi, valori assoluti. Di lettera in lettera ridisegna una sua personale, ma quanto comunicante assiologia; la volontà di rivolgersi al lettore, coinvolgendolo, è continua e sempre attestata dalle incessanti domande, dal fraseggio locutivo, che perviene infine a un’assertività quieta, a una specie di distaccata saggezza lungamente conquistata negli anni. In questo senso questi Haiku alfabetici, che inaugurano la collana di poesia della nuova casa editrice Il ramo e la foglia, diventano quasi un viatico: «accogliamo ogni inizio / felicemente», scrive Bettarini, invitandoci con ciò a recuperare anche dalle macerie del vissuto le certezze che il tempo ancora può consegnarci. Con la grazia del gioco linguistico, segnato a fondo da assonanze, richiami interni di ogni genere, omofonie, figure etimologiche vere o false, arcaismi, quindi giostrando abilmente la retorica del linguaggio poetico, l’autrice ci “accoglie” (altro termine importante del libro) tra le sue riflessioni, i suoi ricordi e i suoi bilanci; si distacca così dalla tradizione della forma, evitando quadretti e bozzetti legati alle stagioni e ammonendoci carezzevolmente, da questo «perso / groviglio, nuovo, di gridi antichi», come recita l’epigrafe da Pasolini, che «quel che / conta è donare».
Mariella Bettarini, Haiku alfabetici, disegni di Graziano Dei, postfazione di Annamaria Vanalesti, Il ramo e la foglia 2021, e. 12,00.
L > Luce
Illuminante
luce che illumini
tu luminosa
Viva lucente
tu che il buio allontani
fammi tu luce
Ti dico grazie
per quello che ci doni:
luce – sì – luce
Se tu non fossi
come faremmo – oscuri
cuori oscurati?
E invece vivi
vivacemente vivi
di vita fonte