domenica 28 settembre 2025

Per Elisabetta Destasio Vettori. In memoriam

 



Quando ci siamo visti l’ultima volta, ancora in una stanza del Policlinico di Tor Vergata, lei distesa, dolorante e impossibilitata a scendere dal letto, senza sapere, entrambi, che già quello sarebbe stato l’ultimo saluto, Elisabetta mi disse che avrei dovuto parlare. Dove, quando, le risposi facendo finta di non capire. Lei fu spietatamente esplicita. C’è ancora tempo, le dissi, illudendo me, che avevo illuso lei spingendola in più occasioni a resistere, nonostante la fatica e il dolore, incitandola sempre ad andare avanti fino a una possibile soluzione. A dire il vero avevo sperato, come tutti quelli che le sono stati vicini, in quel trapianto che non si è più potuto fare. È stato allora che l’illusione si è fatta strada tra me e lei, in un terribile gioco delle parti al quale non potevamo più sottrarci. 

L’ho scritto tanti anni fa, a proposito di un’altra amica poeta scomparsa: l’illusione è un sentimento. Dei sentimenti ha la necessità, e paradossalmente la verità. Ma quando arriva, nell’intimità di un rapporto, ha un segno negativo, il segno di un’attesa che sebbene estenuante vorremmo protrarre, egoisticamente, il più possibile. Ma lei, l’illusione, proprio lei ci mette di fronte a quella cosa oscena che si chiama realtà. Non la vita è oscena, ed Elisabetta ha avuto, dalla parte della vita, il dono della poesia, e in essa l’amicizia e l’affetto di quanti aveva scelto per fare insieme un po’ di strada. Oggi dovrà perdonarmi ancora, perché non ho parole per parlare di lei. Non riesco, o non voglio, perché ciascuno di noi ha la sua Elisabetta da ricordare, e, se questo accade, è perché le persone come Elisabetta rappresentano, per chi s’imbatte in loro, un mondo.

È davvero oscena la realtà, che ci sottrae un’artista, un’amica sincera, e quel pezzo di Roma che leggiamo nei suoi versi da oggi non esisterà più che in quelli, perché il suo sguardo si è spento. È comunque qualcosa, una riserva a cui continuare ad attingere. È invece oscena l’assenza con cui dovremo confrontarci, nel tempo a venire, fin quando ci accorgeremo di averla addomesticata e di averne fatto malinconia; è oscena, ancora, l’avversità di un destino che non ha voluto ascoltare nessuna delle nostre preghiere, anche quando sono divenute imprecazioni. Ma la vita no, l’ha resa ricca e se in tanto tesoro qualche moneta è suonata falsa alla fine non conta, anche se il percorso è stato interrotto il bene avuto supera di gran lunga i sospetti, le delusioni, i tradimenti, le fughe.

Elisabetta ora appartiene alle ombre che segnano il passato ma accompagnano il futuro. «Assenza più assurda presenza», dice un verso di un poeta che tutti abbiamo amato. Sì, è davvero assurdo che lei non ci sia più, che a metà mattina il telefono non squilli, che la sua voce non parli. È assurdo non incontrarla più, per le vie che ha camminato, a volte allegra e a volte presa da un suo profondo rovello o dolore, o agli eventi di cui spesso era la tessitrice. E sarà assurdo abituarci all’insistenza con cui la penseremo, a come, inevitabilmente, continuerà a farsi ricordare, nelle azioni, nei gesti. Ma anche tutto questo che oggi con mestizia celebriamo è un’illusione. Più vado avanti nel mio tempo e meno presumo di sapere, ma voglio condividere una certezza: i poeti non muoiono. I poeti sono quelli che fanno la storia.

Nessun commento:

Posta un commento