domenica 10 febbraio 2019

AILANTO n. 57 - su Annelisa Alleva







Credo che ad Annelisa Alleva si attagli bene il vecchio adagio di Joyce, quando sosteneva che ogni scrittore non fa che scrivere sempre lo stesso libro, ovvero il libro della sua vita. Questo è ancora più vero per un poeta, e non a caso anche Joyce veniva dalla poesia. E come per lui letteratura e vita, cultura assimilata ed esperienza si fondevano, così anche nelle varie tappe che Alleva ha percorso, di libro in libro fino a quest’ultimo Caratteri, si ricostruisce un’autobiografia ideale, dove la rivisitazione del passato, le letture, i confronti con gli autori amati, i viaggi allestiscono tutti insieme un ritratto, congiurano nella ricomposizione di un mosaico.
Caratteri sono infatti i «characters», ovvero i personaggi che si affacciano dai paesaggi della prosa russa, ora più riconoscibili, ora più occultati, ponendosi come proiezione letteraria di desideri, ossessioni, fantasie o minimi gesti quotidiani: è la sezione centrale del libro, ed è, anche, un autoritratto per interposta persona. Vi si arriva dopo aver attraversato tre lunghe sequenze: la prima, Bogliasco, è un serrato confronto con immagini trascorse, con ricordi che improvvisamente chiedono di imporsi con «fermezza», con l’ineluttabilità di ciò che, una volta finito, non può che perdurare nella scrittura (mi accorgo di aver mutuato il termine «ineluttabilità» ancora da Joyce). Tra il «dentro» della memoria e il «fuori» del presente, se vogliamo intendere la geometria di questi versi fuor di metafora, sussiste l’immagine di un bambino che piange: un segnale letterario, forse un simbolo, per una vita che rischia di ridursi a una commedia di spettri, dove il poeta diventa l’abile drammaturgo, o il regista che deve attribuire le parti. Ricomporre il passato è davvero un’arte, finanche un’arte della pace o della pacificazione, come la intendeva il giapponese Morihei Ueshiba, rievocato nelle pagine diaristiche dei Magneti cinesi
La rincorsa prosegue con la seconda e la terza sezione, Madre Sogni, dove ritroviamo «immagini lontane / che mi parlano a scatti», come se il passato rivivesse attraverso un collegamento via Skype, non sempre lineare, scandito da quelle «intermittenze» a cui il grande romanzo della modernità ci ha abituato. Ancora alla prosa, alla grande prosa, dunque, viene da pensare ogni volta che ci si imbatte nella poesia di Annelisa Alleva: perché il suo poetare coincide spesso con una sorta di diarismo imploso, concentrato nel nucleo numinoso di un ricordo, di un istante, di un incontro. C’è qualcosa di classico, in questo, e classico è l’atteggiamento di chi ha bisogno di una doppia prospettiva da cui osservare le proprie predilezioni. Così la Russia pensata al di là della Grande Muraglia, come se ci fosse dato osservare la faccia nascosta della Luna; così il finale, ai piedi del monumento a Puskin, il classico russo per antonomasia, dopo aver trasfuso, nelle forme canoniche dell’epigramma e dell’haiku, umori, sentenze, visioni. Ancora una volta, verrebbe da dire, il medium coincide con il messaggio.
Annelisa Alleva, Caratteri, Passigli 2018, e. 15.00.

La nostalgia è il peso di cui consiste,
il mare che lo nausea,
rende capace di resistere e mancare,
possiede come scrigno la chiave,
circonda come toga leggera,
fortifica e estenua.
Il tappeto della sua voce
quando scende e si posa.

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