mercoledì 31 gennaio 2018

Officina della poesia - a Bologna il 6 febbraio

Ringrazio Paolo Valesio e il Centro Studi Sara Valesio per questo incontro a Bologna sul Meridiano Penna. Con l'occasione sarà presentato il numero monografico di «Nuovi Argomenti» dedicato al poeta, a cura di Maria Borio.



venerdì 19 gennaio 2018

Rassegna Versus a Recanati

Recanati. Versus, ottimo inizio con Deidier. Soccio: Recanati diventerà un riferimento internazionale per la poesia classica e contemporanea

Sala gremita al Circolo di lettura e conversazione
Sala gremita al Circolo di lettura e conversazione
Un folto e partecipe pubblico ha accoltodomenica pomeriggio, nella sede del Circolo di Lettura e Conversazione, Roberto Deidier, il primo poeta ad inaugurare VERSUS la rassegna di confronti poetici ideata dall’Associazione Lo Specchio. “Il progetto nasce con lo scopo di ampliare il pubblico della poesia, troppo spesso ridotto a pochi addetti ai lavori, e aprire con esso un dibattito”, ha affermatodurante la presentazione Vanni Semplici,il presidente dell’associazione. E così è stato.Deidier, stimolato dalle domande di Piergiorgio Viti, ha affrontato un tema universale ed estremamente toccante:come sconfiggerei tentacoli della morte? Per il poeta“Si muore solamente quando non ci sarà più nessuno a parlare di te.” L’antidoto alla morte è la memoria. Il dibattito con il pubblico ha aperto altre argomentazioni sul versante sociale, come il problema dell’eutanasia. Per Deidier è molto grave l’assenza di una legge italiana che dia la possibilità di scegliere di morire. “Se ho il diritto di vivere, ho il diritto di decidere quando morire”. Profondamente ateo, nonostante abbia studiato dai gesuiti, Deidier si apre al pubblico e parla a cuore aperto. Confessa di non amare la metafisica e di essere molto concreto. Ama la vita e, con evidente imbarazzo ma sorridendo, si dichiara una persona felice perché sente di essere molto amato.Saggista e traduttore di poeti come Artaud, Apollinaire, Keats e Sexton, ricorda con gratitudine Amelia Rosselli, la poetessa che, per prima, lo ha incoraggiato a seguire questa strada. Come insegnante accusa la scuola di non avvicinare gli studenti alla poesia e prende ad esempio le “griglie di lettura” con le quali si seziona inutilmente ogni testo in modo fin troppo analitico. Una poesia ridotta “allo spiedo” che non incoraggia certo la lettura.L’incontro ha riscosso molto successo, non solo in termini di presenze ma per aver mostrato l’enorme qualità dell’iniziativa. L’assessore Rita Soccio, che l’ha sostenuta in modo particolare, scrive in una nota: “La rassegna Versus sinserisce nel piano strategico della cultura che stiamo portando avantinella nostra città e che vede nella poesia un elemento di sviluppo e di crescita per tutta la cittadinanza. Il nostro ambizioso progetto è di fare di Recanati un riferimento nazionale e internazionale per la poesia classica ma anche per quella contemporanea, con incontri come quello di questa sera con il poeta Roberto Deidier che tanto successo ha riscosso tra il pubblico.”

giovedì 18 gennaio 2018

Le ragioni della poesia. Rassegna a Roma

Roma torna a far leggere i poeti. Grazie all'invito del Teatro di Roma e del suo direttore Antonio Calbi, presso il teatro di Villa Torlonia Elio Pecora ha raccolto, riprendendo una sua antica consuetudine, trentasette poeti per una vera antologia dal vivo.


mercoledì 17 gennaio 2018

martedì 16 gennaio 2018

Il Meridiano Penna a Firenze, 23 gennaio

Grazie a Gloria Manghetti e agli amici del Gabinetto Vieusseux; ad Anna Dolfi, Roberto Galaverni ed Elena Gurrieri, che condivideranno con noi questo evento.




sabato 30 dicembre 2017

AILANTO n. 51 - Su Marco Sonzogni



Per un lettore e un interprete acuto di Montale come Marco Sonzogni (ricordo, qui, i due recenti volumetti per Archinto: La speranza di pure rivederti… e, in questo 2017 ormai al termine, «Il guindolo del Tempo». Montale, Clizia e il pegno) potrebbe sembrare scontato che il passaggio nella scrittura in versi comporti – se non l’emulazione – qualche riferimento, sul piano della citazione, dell’imitazione, dell’affettuosa, omaggiante parodia. In effetti qualche segnale di queste pratiche si ritrova nelle pagine della sua ultima raccolta, Passaggi. Poesie e prose poetiche, in cui l’autore riunisce il lavoro creativo degli ultimi tre anni, dal 2014 al 2017. Il volume è apparso nella collana «Labyrinty» per una sigla che ha fatto la storia della poesia italiana del primo Novecento, Montale compreso; all’editore Rocco Carabba di Lanciano si deve, infatti, una sfortunata edizione di Ossi di seppia, perlopiù finita distrutta in un incendio che colpì il magazzino dove erano custodite le copie.
C’è dunque, nelle vicende di Sonzogni, una sorta di transfert montaliano, avviatosi proprio con le sue ricerche sul rapporto tra il poeta e Irma Brandeis, la studiosa ebrea americana che avrebbe dovuto portarlo a insegnare negli Stati Uniti, senza riuscirvi. A colei alla quale era destinato il nome di Clizia, Montale aveva promesso un «pegno», un «amuleto» finora mai rinvenuto, sulle cui tracce Sonzogni si è avviato con successo. Ma come Montale restò in Italia, avviandosi a una fitta attività di giornalismo culturale, il suo giovane esegeta ha invece compiuto un lungo, vero viaggio, fino agli antipodi (insegna letteratura italiana a Wellington). Così i temi della dislocazione, della distanza geografica e affettiva ricorrono nei suoi versi, intrecciandosi – ma poche volte, a dire il vero – con il fantasma di Montale e con alcuni dei suoi attacchi e chiuse più famosi: «Non distorcere ti prego l’ombra con cui sfioro / il tuo pensiero»; «Puoi tu non crederti sorella?».
Si tratta di brevi apparizioni, di segnali di voluta, esibita vicinanza di lettore, piuttosto che di una vera e propria contaminazione. La scrittura di Sonzogni, già matura, procede autonomamente per raccontare, piuttosto, ciò che nella vita di Montale non è più accaduto (e verrebbe di dire, col senno di poi, che non sarebbe mai potuto accadere). Treni e stazioni popolano queste poesie, in una sorta di vortice motorio, di incessante spostamento nel tempo e nello spazio, tra memoria e presente. Caparbiamente, come ogni vero poeta, Sonzogni sa che la sua sola casa è la lingua che lo abita. Così il componimento finale ci affida a un dialetto lombardo: «sono sicuro che la mia casa è qui», nell’identità delle parole, nel loro suonare affettivamente. È una certezza che non si può non condividere e che appartiene, da sempre, alla storia della poesia: fuori di quella lingua la vita preme con le sue urgenze, donando al poeta «occasioni» di scrittura, portandolo nella dimensione assoluta del «qui e altrove», dove le immagini si affastellano senza condensarsi. Perché questo accada, Sonzogni sa che deve fermarsi nella propria lingua, lui che è anche un abile traduttore (ricordo il “meridiano” di Seamus Heaney). Solo lì, fondando e rifondando ogni volta il proprio stile, tutti gli ingredienti della poesia, dalle Ipotesi ai Lasciti trovano finalmente espressione, simili modo; ovvero nel modo in cui la vita stessa vorrà riportarci al punto della sua origine.

Marco Sonzogni, Passaggi. Poesie e prose poetiche (2014-2017), prefazione di Matteo M. Vecchio, Carabba 2017, e. 13.00.


Che già solo cercarti
smuove, scalfisce, strappa.

E non so sparare. Guardo
da terra, in pectore guado.

Quando la misura scappa

io rinculo e tu riparti.

sabato 11 novembre 2017

AILANTO n. 50 - su Renato Nisticò



C’è qualcosa che non torna, immancabilmente, nelle geografie letterarie più recenti, soprattutto quelle della poesia; e se quelle geografie si restringono a una generazione di autori la situazione non cambia, qualcuno o qualcosa si sarà sottratto comunque all’attenzione dei compilatori di manuali o di frettolose e tendenziose antologie. Tra i nomi della generazione degli anni Sessanta, per esempio, è mancato a lungo quello di Renato Nisticò, oggi pienamente riscattato dall’apparizione della sua seconda raccolta, Attenti caduta metafore, nella preziosa collana di poesia dell’editore Donzelli. La prima, intitolata Regno mobile, risale al lontano 2001.
Il nuovo libro ha una struttura forse poco italiana, nel senso che non appare organizzata in sezioni, ma lascia liberamente fluire i temi dal testo d’avvio a quello di chiusura, non senza una certa specularità. Il poeta, nell’incipit, si presenta sotto le spoglie di un dio nascosto e la sua condizione appare essere quella della maturità: «Sono diventato adulto / son diventato grande», dice Nisticò, come a suggellare la fine di quella lunga, variegata Bildung di cui Regno mobile, e anche il romanzo L’Arcavacante erano stati l’espressione, ora ironica ora sospesa tra residui di incanto e delusioni. Ma «attenti», come suggerisce il titolo, perché lo scarto metaforico è sempre in agguato per sorprendere e spiazzare il lettore. Così quel secondo aggettivo, «grande», vuole riferirsi non solo all’anagrafe, ma anche a una condizione di pervasiva smisuratezza: dalle sue altezze, il dio perde la percezione delle «cose della terra», e allora anche la conquista della maturità si rivela una facile illusione, un nascondersi a se stessi. Il poeta è infine un «triste» ma «vivace impostore», come recita l’ultimo verso della raccolta: «L’età cade muta», ed è significativa quest’asserzione dopo un vasto dispiegarsi di risorse locutive, finanche di un tentativo di Discorso agli italiani, dove la passione non scade mai in facile retorica.
Nisticò ha il dono di sospendere il linguaggio in una zona del poetico dove ogni significato sembra ancora compiersi, e dunque tutto diventa risorsa, per lui, e nulla rischia di usurarsi. Le sue immagini sembrano ancora pregne di quel candore che rinvia a uno sguardo adolescente, alla freschezza e vivacità di un perenne presente: «Qui da noi di una storia / del futuro non se ne fanno niente», scrive in L’avo futuro. Quanto al passato, la sua rievocazione non è mai oscurata dalla malinconia, perché «La vita è una, non ammette altro da sé», suggerisce severamente l’autore come a circoscrivere un suo recinto, una sua condivisa ontologia. In questa immanenza, di cui l’occhio si è nutrito incessantemente e che non cessa di reinventarsi nella lingua della poesia fino a farsi «cristallo di durata», Nisticò ci aiuta invece a comprendere che il grande tema di fondo, il vero antagonista è proprio il tempo, richiamato sotto ogni possibile specie, a partire da quella della finitudine, se «vita mortale, verso l’inverno vai» (Le vecchie). Non so fino a che punto questo carattere di meditazione sul fluire della vita sia un tratto che accomuna questo libro all’opera di diversi poeti del meridione, né vorrei che sembrasse riduttivo, nei confronti di un libro così mosso, così ricco delle sue necessità, stabilire un confine tematico così netto. Ma se «L’acqua è allora una durata», si chiede guardando la pioggia, allora un filo non troppo segreto da Eraclito a Brodskij lega Attenti caduta metafore a qualcosa che ha a che fare anche con una morale del tempo, non solo con il suo manifesto consumarsi. Dietro la fanciullezza delle immagini si riconosce una corda civile che proprio verso la fine tende a rivelarsi con più nettezza, presentandosi come un memento e come un invito.

Renato Nisticò, Attenti caduta metafore, Donzelli 2017, e. 14.00

La luce si nasconde dietro il suo apparire:
rivelazione di una troppo vivida estate
che ha partorito in te
un certo tipo di sguardo, bieco e ridente:

I maestri non lo sanno che cos’è la luce:
se possono, ti ripetono formule
risapute…

Tu dici È la ragione dei ciechi
è il nero degli occhi che accresce
lo splendore dei possibili volti

Io dico È il popolo d’immediati rancori
che si rivolta nell’opacità della lente
oscura

Non è chiara la luce