domenica 29 novembre 2015

Raffaele Manica su Solstizio

Posto la motivazione di Raffaele Manica in occasione del Premio Frascati-Poesia "Antonio Seccareccia", 55ma edizione.



Conoscitore di poesia e traduttore, Roberto Deidier giunge con Solstizio alla piena maturità di poeta.
Una definizione rapida per il suo libro potrebbe dire di una densità risolta in chiarezza, che scioglie i grumi delle tracce autobiografiche e dei lacerti esistenziali con una voce sostenuta da dissimulata perizia formale e da controllata varietà di timbri.
Di prima, la misura di Solstizio è classica, perfino nella scelta metrica, che pratica non di rado l'endecasillabo e, se non si è constatato male, sempre il verso dispari, che nella tradizione moderna vuol dire musica. Ma poi la voce della poesia di Deidier è soprattutto quella della conversazione, che non si sottrae nemmeno a spazi di narratività, rinunciando volutamente allo scandire esatto, con «la studiata sciatteria di chi non ha rimorsi», come si dice in Auden (con Penna, uno dei maestri di elezione di Deidier), aggiungendo: «Mi guardai nel tuo stesso sguardo / Il circolo vizioso della solitudine». Perciò, cumulando i segnali, si vede come in Solstizio tutto arrivi da una non pacificata introversione; e come tutto ciò che si attribuisce a fatti formali giunga da un mai dismesso pudore: l'io che si affaccia è incerto, residuale, necessario però a bilanciare rilevanti fatti minimi e conoscenza. Così la vicenda di un io che veglia il sogno della vita è l'altra formula che si vuole proporre per Deidier e per Solstizio.

Nessun commento:

Posta un commento