Si comprende come Roberto
Maggiani, poeta che appartiene alla fitta schiera dei letterati scienziati,
abbia avuto bisogno di ricorrere ad Aldous Huxley per l’esergo del suo nuovo
libro, La bellezza non si somma:
«L’occhio contemplativo può posarsi su qualsiasi oggetto e vedere in esso, come
da una finestra, tutto il cosmo…». In realtà, nella stessa prospettiva, sarebbe
stato più che sufficiente il Leopardi dell’Infinito,
per restare tra le nostre pareti: alla specie del «sedendo e mirando», infatti,
sembra proprio ricondursi la percettività di questi versi, così pienamente
descrittivi, con un andamento espressamente diaristico, al punto da registrare
non solo la data ma anche l’ora della scrittura o dell’evento che l’ha
ispirata. Così, ad esempio, può accadere che alle sette e trenta del mattino,
su una spiaggia, ci si imbatta in una coppia di slavi: «Lui si siede su un trono improvvisato - / mangia
osservando il suo dominio marino».
Non c’è una siepe, però, a impedire la vista, che qui può liberamente spaziare
sulla distesa d’acqua, riducendola giustamente a «dominio», a un paesaggio che
esiste solo perché un soggetto lo sta osservando (chissà se Maggiani non abbia
anche pensato a un’altra tradizione, quella che dal primo Montale, grande
osservatore del mare, indietreggia fino al Mondo
come volontà e rappresentazione di Schopenhauer).
Questo, credo, sia il centro
della questione: la poesia di Maggiani, in questo volumetto, non esibisce né
accenna alcuna trascendenza, la lascia piuttosto intuire: come a dire che
l’azione contemplativa si assesta intorno alla superficie dell’oggetto, quasi
si trattasse di un prisma in grado di rifrangere ed evocare una realtà più
ampia. Quella che in poesia sta, o dovrebbe stare, nello spazio tra le parole, dietro le parole, come ricordava
Brodskij. Accade a ogni pagina: c’è un avvio di narrazione, si prepara un
microevento, la poesia si struttura come una sorta di epifania minimalista, ma
Maggiani ammette di non riuscire «ad andare così a fondo / come certi poeti o
scienziati». Resta fuori dall’oggetto, non si proietta né dentro né oltre. È in
realtà una precisa scelta prospettica, piuttosto che un limite, e l’autore ne è
consapevole; del resto Savinio insisteva sull’«intelligenza della superficie» e
questa posizione, direi questa focalizzazione, è necessaria perché, come si
dice negli ultimi versi, ci sia ancora una «verità nascosta» da pagare.
Un perfetto parallelismo ricorre
tra l’assioma del titolo e quello della poesia di chiusura: come non si può
sommare la bellezza così ciò che resta vero e celato «si paga». Ma in cosa
consiste questa verità che talora sembra «emergere», o «galleggiare» dietro la
linea della «distesa azzurra»? Non certo nella sessualità, che è invece
chiaramente – ed elegantemente – esibita.
Per il poeta-scienziato (Maggiani proviene da studi di fisica) anche l’eros
è uno dei tanti epifenomeni del quotidiano; dunque, dietro l’apparenza del
bozzetto, sotto le sue rapide pennellate imagiste, c’è un altro «giacimento»
che rimane segreto, inespresso, appena accennato, perché possa ancora
rappresentare un polo di tensione possibile. E lo si paga, naturalmente, con la
poesia.
Roberto Maggiani, La bellezza non
si somma, Ancona, italic, e. 12,00.
In treno
Avrò pisciato per almeno un chilometro -
nel buco della tazza
vedevo correre le rotaie.
Dal finestrino scorgevo -
dietro case e alberi in corsa -
una linea blu
simile a un fiume che ingrandisce
fino a sfociare nel mare:
la distesa azzurra
in cui tutto sprofonda -
sono poche le cose
che galleggiano.
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