Qualche
considerazione in margine al libro di Elisa Donzelli Giorgio Caproni e gli altri (Marsilio Editori). A partire dal
titolo, che è sempre la porta d’ingresso di un’opera, in questo caso di uno
studio denso e per molti aspetti avvincente. È un titolo particolare, perché ne
richiama nell’immediato altri due: I
libri degli altri di Italo Calvino, che ripercorre la storia dello
scrittore che si è fatto editor, consulente, redattore per Einaudi delle
scritture altrui; e, per quella congiunzione «e» che sta proprio al centro del
titolo, e ne rappresenta il cuore, Passione
e ideologia di Pasolini. Nel primo caso ci imbattiamo in uno degli auctores del nostro Novecento più
coinvolto in operazioni editoriali a vario titolo; nei suoi interventi, nei
suoi giudizi, avvertiamo il confronto e la tensione tra una personalità ben
definita, con i suoi gusti e le sue idiosincrasie, e il suo modo di lavorare
sulle opere degli altri. Gli altri, insomma, restano una costellazione esterna,
che poco o nulla influisce sulla fisionomia dello scrittore-giudice. Nel
secondo caso, invece, come aveva acutamente osservato Cesare Segre, quella «e»
non è una semplice congiunzione, né si carica di un valore temporale («prima la
passione e poi l’ideologia»), ma sta a indicare che le due, passione e
ideologia, marciano di pari passo e si alimentano vicendevolmente.
Credo
che questo sia il senso più autentico di questo titolo dove, solo in apparenza,
Caproni (anzi, «Giorgio Caproni») è lì nel pieno della sua identità,
nell’affermazione totale della sua onomastica, rispetto agli «altri». Perché di
quel «Giorgio Caproni» gli «altri» fanno invece parte a pieno titolo, e questo
è il significato autentico delle ricerche di Elisa Donzelli. Quella
congiunzione non disgiunge, non separa, non identifica due mondi separati (la
monade Caproni rispetto alle altre), ma inserisce opportunamente la storia, la
vicenda di questa poesia all’interno di un sistema più vasto, di una rete di
relazioni. Giorgio Caproni con gli
altri.
Dunque,
questo libro è anche una precisa indicazione di metodo: non è più possibile
circoscrivere le grandi esperienze della letteratura contemporanea
nell’asfittico circuito della nazionalità. Le relazioni con l’«altro» esistono,
sussistono e restano ben vive anche dopo la morte di un autore, come questo
libro, nella sua impostazione più che condivisibile, dimostra. Perché? Nella
presentazione a Roma presso la Casa delle Letterature, Biancamaria Frabotta ha
invocato una metafora assai suggestiva, e non nuova a una certa visione della
prassi letteraria: l’applicazione, ai testi e alle letture che ne facciamo, del
principio di indeterminazione di Heisenberg.
Mi ci ero imbattuto proprio a proposito di Calvino, ma qui la faccenda
si fa ancora più interessante e coinvolge le dinamiche della ricezione delle
opere. In breve, quel principio ci suggerisce che lo sguardo dell’osservante
modifica l’osservato. Che vi sia una buona soggettività nella ricerca (anche in
quella scientifica) è un dato di fatto su cui non occorre insistere; ma qui è
proprio lo sguardo della studiosa che riaccende e vivifica per noi quella rete
relazionale, mostrandocela in una prospettiva nuova, e direi pertinente,
consustanziale.
Una
prima osservazione riguarda proprio lo spostamento percettivo nei confronti di
un panorama novecentesco, troppe volte storicizzato con fretta e
approssimazione. Questo libro ci costringe infatti a ripensare, per tornare a
Pasolini, a categorie come quelle di «Novecento» e «Anti-Novecento». Quando
Pasolini le coniò, sapevamo bene a cosa si potessero riferire. Ma proprio quel
principio di indeterminazione ci induce a un rovesciamento prospettico. Già,
perché ciò che Elisa Donzelli non ha scritto, ma che si evince con chiarezza dalle
sue pagine, e dalla precisa passione con cui le conduce, è che oggi la spina
dorsale del nostro Novecento lirico non è più rappresentata dal coté ermetico, che gli «altri» -
soprattutto la cultura francese e quella spagnola - li ha forse più assorbiti e
subiti, piuttosto che confrontarsi con loro e agendo un’iperletterarietà dei
linguaggi, per difendersi in autonomia dalla Bestia della Storia. Come invece
hanno fatto, per vie diverse, Penna, che si smarca ben presto dagli «oscuri
turiboli» di Baudelaire e Rimbaud; Bertolucci, che si apre alla grande poesia
di lingua inglese, e appunto Caproni, che si trova a convergere con Sereni - un
poeta che non a caso si è progressivamente allontanato dai suoi esordi ermetici
- su un poeta indubbiamente complesso come Char; ma a patto di vedere in lui, nell’autore
di Fogli d’Hypnos, un altro indubbio
polo di tensione con cui confrontarsi costantemente, piuttosto che un maestro
da emulare. In questo senso la traduzione di Char diventa una vera e propria
mediazione culturale.
Veniamo
subito a scoprire, grazie alle indagini d’archivio, che la Bestia non è solo un
grande fantasma, una grande «metafora ossessiva», come si diceva un tempo, del
Caproni più tardo, ma è fin dagli esordi il motore, l’anima di questi versi.
L’idea complessiva, e sfaccettata, del male che percorre la storia degli uomini
e inquieta la loro natura, è già qualcosa di più di una potente suggestione
giovanile, mediata da una lettura di Pierre Jean Jouve. Insomma, la Bestia si
sostanzia, ontologicamente, nel rapporto con l’altro, lo alimenta, nel senso
che lo condiziona, e ne è a sua volta alimentata. Il fantasma diviene racconto,
proprio nel senso leopardiano di narrazione in assenza, ovvero racconto del
pensiero, nel pensiero: ovvero
immaginazione, fictio. Non è forse Finzioni uno dei primi titoli di
Caproni? Senza la sua assenza, senza la sua invisibilità e inafferrabilità, la
Bestia non potrebbe porsi come il grande e vero agente antagonista di tutta la
poesia di Caproni: non potrebbe essere raccontata. E che dovesse restare
inafferrabile, rendendo la caccia infinita, è solo un corollario necessario. Il
cacciatore è tale, e resta in azione, all’erta, solo finché la caccia può
proseguire. È solo la morte –e in questo caso neppure lei – a interromperla.
Elisa Donzelli ha ripreso quella caccia per noi.
Nessun commento:
Posta un commento