Posto la recensione di Grazia Calanna, apparsa su «La Sicilia» del 29 dicembre. Prosit! e auguri
mercoledì 31 dicembre 2014
sabato 20 dicembre 2014
Luca Minola su Solstizio
Un intervento di Luca Minola su Solstizio, in «Nuovi Argomenti». Ecco il link:
Solstizio di Roberto Deidier
Solstizio di Roberto Deidier
lunedì 15 dicembre 2014
AILANTO n. 12 - Su Attilio Lolini
A soli due anni da Carte da sandwich, apparso nel 2013 da
Einaudi, Attilio Lolini ci sorprende con una nuova raccolta di poesie, Bestiario gotico. La sorpresa è proprio
in questa rapidità: Lolini appartiene a quella schiera nobilissima di autori
appartati, un po’ schivi e un po’ caustici, ironici e sornioni, che dispensano
con estrema saggezza – e con parsimonia – l’arte della sprezzatura. Di se
stesso ha sempre dato una definizione, quella di “vice-poeta”, decisamente in
linea con il suo libro precedente: Carte
da sandwich si rifaceva a quella serie di titoli all’apparenza sottotono,
falsamente minimalistici (ricordo le Poesie
per incartare l’insalata di Michele Serra, fra i tanti possibili, ma con un
distinguo fondamentale: Serra è un umorista – un moralista? – che in
quell’occasione si è prestato alla poesia, Lolini è invece un poeta con una
spiccata cifra comica) attraverso cui la poesia ci lancia un indiscutibile segnale
di presa di coscienza critica. Parlare del presente, di questo presente, è cosa davvero ardua per chi non scelga la strada
del solipsismo lirico, della cronaca sentimentale. E parlare chiaro, in una
lingua che non si arrocca dietro facili orpelli retorici o giochi manieristici,
ma che riesce ancora a costruire un’immagine plausibile del mondo anche e
soprattutto ricorrendo a un istituto desueto come quello della rima (rima che è
sempre in Lolini il modo di rendere e chiudere un pensiero, accanto all’immagine)
è impresa ancora più difficile.
Lolini però vince sempre la sua
scommessa e anche questo Bestiario gotico
ne è la felice controprova, anche rischiando qualche effetto straniante. Dagli
scenari talvolta asfittici del verso contemporaneo il lettore ha l’impressione
di calarsi improvvisamente in una lingua che mima quella di certa poesia fin-de-siècle, tra Otto e Novecento. C’è
un certo tono scanzonato, un po’ da poeta maudit
e un po’ da osservatore irridente: un Palazzeschi senza liberty, capitombolato
all’indietro, un po’ Lucini e un po’ Lautréamont, o Corbière, non senza qualche eco da Apollinaire; o
forse precipitato in avanti, tra le stravolte capriole di una comica del cinema
muto. Il tutto, come sapientemente diceva Orazio, per fare secco il futuro ed
esorcizzare – come in altri luoghi recenti della poesia di Lolini – anche la
vecchiaia, il decadimento fisico, infine la morte. Ma dietro questa traccia
personale, la realtà preme da ogni parte, incombe nel pensiero del poeta e si
traveste spesso da apologo, da favoletta allegorica (allegorici sono moli di
questi titoli, che sembrano talvolta esprimere un enigma, un rebus), e induce
l’autore a mimare un’andatura da filastrocca, portata fin quasi sulla soglia
del nonsense. E proprio qui, sul
limite estremo di questa soglia che Lolini si sforza di non varcare mai, accade
che l’allegoria si disveli e che dietro questo bestiario così inquietante,
fatto di peli e di grassezza, il passato divenga solo una «mesta fantasia» e il
presente torni a parlare in tutta la sua sconcertante tristezza, mostrando il
mondo per ciò che è: «vuoto e tondo».
Attilio Lolini, Bestiario gotico,
L’Obliquo 2014, e. 11,00.
Destriero
Cantano le ore
con voce afona
e stonata
cantano alla luna
arrotolata
il pianeta s’è fatto trasparente
dentro non c’era niente
se ne va il pensiero
sopra un macilento destriero
porta da qualche parte
la nostra inutile arte.
la nostra inutile arte.
lunedì 8 dicembre 2014
Dario Bellezza, in attesa dell'Oscar
Uscirà a fine gennaio 2015, negli Oscar Poesia Mondadori, la raccolta completa delle poesie edite di Dario Bellezza, a mia cura. Il volume ci rimetterà finalmente in contatto con una delle voci più significative e controverse della poesia italiana di fine Novecento. Bellezza è rimasto assente dalle librerie per più di un decennio: il precedente Oscar, antologico, curato da Elio Pecora, risale infatti al 2002. Una nuova generazione di lettori potrà accostarsi a queste poesie; sarà interessante verificarne le reazioni, tra vecchi e nuovi tabù e cadute ormai certe paratie ideologiche.
L'Oscar che ho curato comprenderà un'appendice di testi dispersi o inediti. Sicuramente molti amici di Dario sono in possesso di manoscritti o dediche, ma questa non sarà un'edizione critica. Mi sono limitato a raccogliere gli editi, tranne i versi per il teatro, e quanto era stato già pubblicato dal poeta in annuari e almanacchi o in plaquettes meno conosciute. E qualche inedito. Ho dato conto del movimento dei testi da queste prime pubblicazioni ai libri veri e propri. Spero che tutto ciò riaccenda un'attenzione critica che negli ultimi anni è mancata intorno a questa figura.
In attesa del nuovo Oscar, pubblico una variante inedita ritrovata tra le carte dell'artista Liliana Petrovic, amica di Bellezza. Non la troverete nel volume, dove c'è invece la versione definitiva. Si tratta della poesia alle pagine 45-46 di Libro di poesia, apparso nel 1990 da Garzanti.
Visione sacrale anfetaminica con
dosi intere
di paranoia abissale coltivata
nell’esercizio
impuro della ragione contro la
menzognera
realtà prima che mi fece,
partorendomi
ad un mondo qualsiasi, ma non mio!
Io allora vago immondo nel mondo,
tutto
sembrandomi osceno, bruttamente
fasullo,
finzione nevrotica la mia mancando
la poesia,
il valore supremo cui sottomisi la
vita;
adolescenza perduta e senza
immagini, pure
prendendo un treno per Ostia
rimanendo mentale,
fra ragazzi erotici e morti totali
adulti
pieni di merda e di rancore!
Arrivo dunque al Battistini, fra
mare e cielo
sospeso, senza immagini false e
seconde
nel loro fine alla cosiddetta
realtà
che non esiste. Mi ribello, io,
sempre
mi sono ribellato, nello ieratico
me stesso
so di avere perso la diplomatica,
convenzionale
poesia, ed ora trascinandomi
interno
e intero al mio sistema idiota e
pellegrino
cerco di svoltare all’angolo con la
buccia
di banana della leggibilità
manifesta!
Ho perso tutti i sentimenti, lo
sregolamento
appartenne a colui che non c’è più,
e
descrivere il fuori-dentro è banale,
circonvenzione di incapace, il
lettore
di testi di poesia in lingua,
corruzione
di minorenne rinviata ogni giorno
nella educazione sentimentale di un
reietto
depositario della verità vera di un
Millennio.
martedì 2 dicembre 2014
lunedì 1 dicembre 2014
La Premiata Compagnia delle poete
Esiste, da qualche anno, una
compagnia di poete. Anzi, una Premiata Compagnia delle poete. Un ensemble di
donne poeta, di diversa nazionalità, che s’incontrano su terreni comuni e
allestiscono, tra parola, movimento, gestualità, musica, delle performance, dei
veri e propri spettacoli.
Che può significare tutto questo,
oggi, che senso può avere una simile operazione? E come si svolge, di fatto,
l’attività di questa Compagnia, anche al di là dei progetti e delle intenzioni?
Vorrei tentare qualche
riflessione a più ampio raggio, cercando di inscrivere questa esperienza in una
prospettiva forse più pertinente di quella della sola poesia performativa. Oggi
che la prassi letteraria è sempre più riconosciuta come sistema, anzi come polisistema dinamico, in continuo
movimento, è evidente che le sue metamorfosi ricadano su ciascun elemento del
sistema, turbandone ciò che riconosco come il suo sonno identitario.
È uno dei grandi paradossi – o
delle grandi contraddizioni – a cui accade di assistere. Da un lato ci sono fenomeni
centripeti, pur diversi tra loro, come la globalizzazione i flussi migratori;
dall’altro, a fronte delle inevitabili trasformazioni dei modelli culturali che
tali fenomeni provocano, si avverte l’arroccarsi su posizioni che hanno chiari
limiti ideologici e teorici, specie se ne consideriamo la dimensione nazionale,
o addirittura infra-nazionale. Da parte mia resto convinto che chi continua a
discutere affannosamente di canoni e identità, in letteratura, e dall’interno
delle prospettive nazionali, non solo non abbia compreso cosa significhi la libertà per un artista moderno (termine,
quello della libertà, che ritrovo felicemente tra le pagine di poetica della
Compagnia delle poete: pagine di poetica libera),
ma che abbia anche difficoltà a comprendere la complessità del presente e la
dimensione pluriculturale in cui ci troviamo. Temo, infine, che questo
arroccarsi non permetta di inquadrare la portata effettiva dei problemi posti
dalla letteratura odierna e che il modo di trattare tali problemi sia condizionato
da visioni non più condivisibili, ormai estranee ai modelli espressivi,
comunicativi, ermeneutici della modernità.
Non sussistendo più poetiche
normative, com’era nell’età della tradizione, definitivamente pensionata dalle
avanguardie (ed essendo Dio morto, nel frattempo), mi chiedo che valora possa
avere, oggi, tornare a parlare di canone. I principali attori della discussione
sono, perlopiù, presi dal problema di cosa inserire negli aggiornamenti dei
loro manuali scolastici. Quanto all’identità, mi sembra che sia completamente
trascurato l’aspetto dialogico-narrativo e anche mistificante della questione.
L’identità non è una monade, ma un problema che si articola attraverso tre
livelli: ciò che si vuole essere, ciò che si vuole mostrare, ciò che l’altro
percepisce di noi. Ecco il cuore del problema: l’identità come narrazione
all’altro. Senza questo interlocutore non esistono identità, ma monadi
destinate a un desolato solipsismo; senza questo interlocutore, ogni rilievo in
merito all’identità si rivela una triste tautologia.
Penso, in particolare, alle
letterature della migrazione: non dovrebbero più esistere come categoria a sé,
ma dovrebbero far parte del polisistema che chiamiamo – seppure impropriamente,
considerati i fenomeni a cui ho fatto accenno – “letteratura italiana
contemporanea”. Un polisistema decisamente e fecondamente arricchito dagli
apporti – di lingua e di immaginario – di autori che hanno scelto l’italiano
per esprimersi, pur non essendo la lingua del loro modello culturale di partenza,
ma che attraverso questa scelta contribuiscono alla creazione di un nuovo e più
ampio modello transculturale.
Siamo trascorsi, negli ultimi
cento anni, dall’«Io è un altro» di Rimbaud a «Io è gli altri»; e questa
necessaria, inevitabile pluralizzazione – che risponde anche, e non solo, ai
movimenti della Storia – si è ulteriormente evoluta in un’affermazione che
potrebbe essere proprio la risposta a un processo di narrazione identitaria.
Raccontami chi sei: io è più altri, diversi altri.
Credo che questa possa essere la
vera fotografia della letteratura attuale, nei cui margini ben si inserisce
l’attività della Compagnia delle poete. Leggendo le loro dichiarazioni di
poetica (ma temo che, quanto a “dichiarazione”, si tratti di un termine
improprio) mi accorgo che dietro deve esserci stata la richiesta implicita di
ricondurre il lavoro a tre parole chiave. Cerco di ripercorrerle. Per Mia
Lecomte queste parole corrispondono a “casa”, “famiglia”, “libertà”, e preciso
che è la terza a sostanziare le prime due. Helena Paraskeva identifica le
tensioni della sua scrittura con il vento del Meltèmi, vento dall’azione
ossimorica. Jacqueline Spaccini parla di “singolarità”, “insieme”, “gioia”;
Sally Read di “lingua”, “vita”, “corpo”. E quest’ultima parola ritorna tra
quelle proposte da Brenda Porster: “corpo”, “ponte”, “scoperta”. Ancora
“libertà”, ancora “corpo”, e “corridoio” (possibile alternativa di “ponte”)
sono nei versi di Laure Cambau. Eva Taylor specifica ulteriormente l’immagine e
parla di un ponte Bailey, «quello che sembra provvisorio ma rimane». Candelaria
Romero parla di “viaggio”, “compagnia”, “avventura”; Barbara Serdakowski di
“senso”, Adriana Langtry di “specchio”, “sponda”, “segno”. Infine Barbara Pumhösel
e Melita Richter si rifanno, rispettivamente, alle parole “equilibrio”, “filo”,
“sinestesia” e a “Europa”, “paese”, “fuori orario”. Traggo queste informazioni
dal libro di Francesco Armato, Premiata
Compagnia delle poete, edito da Iannone.
Questo pur rapido elenco di
parole-concetto è davvero un sistema. Molto compatto, aggiungereu, in cui le
immagini travasano di poeta in poeta ma restano in definitiva ancorate a quel
concetto mobile e plurimo di identità da cui ho preso le mosse. Raccontami che
sei. Io è un ponte, un corridoio, che chiunque può percorrere alla ricerca di segni e sensi, spinto da
un inarrestabile Meltèmi, che distrugge – o vorremmo che distruggesse – i
nostri pregiudizi e le nostre certezze così relative, facendo delle nostre
esistenze non dei dogmi ma un bene da condividere, un tesoro da spartire, e che
più spartiamo più ci fa ricchi.
Allora l’attività di una
Compagnia delle poete non è solo la benvenuta, ma diviene anche necessaria,
poiché si fonda sul dialogo, sull’assimilazione, sul contagio. Vorrei che
fossero definitivamente trascorsi i tempi – tristissimi – in cui autori
provenienti da altre culture, portatori di vitalità e fermenti, sono stati
rimossi, come se non fossero mai giunti qui. Penso fra tutti a Juan Rodolfo
Wilcock, argentino, che dagli anni Cinquanta alla morte, nel 1978, è vissuto in
Italia, ha partecipato al dibattito letterario, ha scritto in più generi libri
dominati da un’ironia sapiente. Difficilmente lo troverete nei manuali di
letteratura, se non in qualche nota marginale, magari come traduttore di
Marlowe e di Joyce.
Questo modo di storicizzare non è
più tollerabile, perché, semplicemente, non è vero, non rispecchia la vivacità
di quanto accade. Grazie, allora, alla Compagnia delle poete, per il lavoro di
ricucitura culturale che vanno compiendo: un segnale fondamentale, che ci viene
dalle donne.