Non è la prima volta che la
poesia di Nina Cassian incontra il lettore italiano, ma è certo la prima
occasione in cui la sua opera riesce a dare di sé, in un contesto straniero,
una rappresentanza importante e compatta. Sto parlando del volume antologico C’è modo e modo di sparire, apparso
esattamente un anno fa nella Biblioteca Adelphi, a cura di Ottavio Fatica, che
traduce insieme ad Anita Natascia Bernacchia. Quello di Cassian, infatti, è un
caso di trilinguismo: la sua scrittura trascorre dalla lingua madre, il romeno,
all’inglese, lingua di adozione anche politica, fino a una di quelle lingue
immaginarie che tanto affascinavano gli scrittori dell’utopia e di certo
fantastico: lo “spargano”, curioso quanto affascinante idioletto di pura
invenzione e di grande efficacia invettiva.
Nina Cassian è probabilmente una
delle ultime esponenti, se non l’ultima, di una grande tradizione sperimentale
novecentesca, che nel suo paese d’origine comprende artisti e letterati come
Brancusi e Tzara, Ionesco e Cioran, ma non vorrei dimenticare anche Blaga. Una
vera e trasversale comunità espressiva, che nel tempo ha saputo dialogare con
la migliore cultura europea finendo poi per nutrirla e contribuendo al suo
rinnovarsi. Del secolo scorso, e di tutte le sue tensioni avanguardistiche,
questi versi riprendono e sviluppano in modi nuovi il gusto delle antitesi, i
contrasti destinati a non ricomporsi dialetticamente ma a restare irrisolti,
come immagini senza più gravità, che aleggiano intorno al soggetto e ne problematizzano
l’esistenza, mettendo in luce aporie e improvvisi rovesciamenti di segno. E
ancora vi si agitano provocazioni e paradossi, accostamenti arditi, figure che
la tradizione sembrava ormai aver consegnato a un preciso codice simbolico, e
che qui invece tornano a caricarsi di altri significati. C’è la tigre, per
esempio, l’animale più ricorrente nel bestiario di quest’autrice, almeno stando
alla scelta del curatore: la sua febbrile, inquietante presenza che rinvia a
Blake o a Borges, improvvisamente viene a rappresentare un’alterità costante e
assoluta, ora antagonista, ora assimilata al soggetto nella forma di un potere
estraneo, insospettato, che coincide con una vera e propria tentazione.
La «letteratura» è per Nina
Cassian quello spazio dove il linguaggio regna sovrano e deforma a suo
piacimento il mondo, lo decostruisce ricreando altre immagini, confondendo i
colori: è un «giocare alla Genesi», gioco allettante e perverso che costringe
infine il soggetto a fare i conti con se stesso, con la sua decadenza fisica,
con le sue bruttezze e i suoi limiti. C’è molto io in questo sperimentare, come
se il poeta avvertisse la necessità di mettersi ancora una volta a nudo,
proprio quando tende il linguaggio al massimo delle sue potenzialità: ma ogni
rovesciamento, ogni straniamento (ciò che è il movimento intero più autentico
di queste poesie) contribuisce a scrivere un’antropologia del dissenso, apre una
discussione sull’ovvio: per ricordarci che dietro ogni certezza e ogni
abitudine la realtà gioca sempre più forte dell’arte.
Nina Cassian, C’è modo e modo di
sparire. Poesie 1945-2007, a cura di Ottavio Fatica, Adelphi 2013, e.
25,00.
Letteratura
Una mela azzurra,
una tigre verde –
quanto basta per scriver libri di
tutt’altro genere,
libri con cieli rossi,
giungle viola,
perché qui come altrove tutto si
rimescola.
Oh, giocare alla Genesi, che
spasso –
finché la mela rossa non riappare
e la tigre gialla striata e
sinuosa non s’avventa
a sgranocchiare quanto scritto
nel frattempo.