lunedì 4 novembre 2024

AILANTO n. 75 - su Marco Vitale

 


«Quel venire / a patti con la vita». Prendo questo verso e mezzo dalla poesia che chiude la nuova raccolta di Marco Vitale, La strada di Morandi, appena apparsa da Passigli con una lucida e davvero aderente prefazione di Gabriella Palli Baroni. Non sorprende che la studiosa di Bertolucci si sia trovata a suo agio tra i versi di Vitale, qui ancor più permeati di una malinconia pervasiva, rispetto alle prove precedenti. Il sentimento della vita, quel venirci «a patti» per l’appunto, passa in questo poeta, come nella poesia di Viaggio d’inverno, attraverso una sequela di immagini dense, in grado non di riprodurre mimeticamente, ma di restituire il vissuto in tutto il suo alone di temporalità. Curioso, in un libro che potrebbe essere fin dal titolo una silloge di ekphrasis: l’autore si guarda bene dal restituirci quadri, nella loro cromatica staticità, e se si azzarda talvolta a descriverli lo fa in punta di penna, per rapidissimi accenni, quel tanto che possa risultare sufficiente a dare non più di un’idea, la leggerezza di un’allusione colta. 

Vitale ha da sempre scelto di sfondare la dimensione del tempo, ma lo ha fatto – e continua a farlo – con l’insolita, sapiente, caparbia perseveranza del viandante di fronte a una porta che nessuno vuole aprirgli; non ha bisogno di bussare più forte, basta tenere lo stesso ritmo insistente e riesce infine a entrare, una volta per tutte, nel proprio trascorso. Vale a dire che nel circuito di azione e reazione, il soggetto (un soggetto elegiaco, che reca in sé tutta la dura dolcezza degli elegiaci) è sempre in movimento, non tanto per le geografie percorse (la poesia di viaggio è una costante di Vitale), quanto per quei moti tutti interiori che lo portano incessantemente a confrontare passato e presente, ora all’insegna di un’acquisizione o di una consapevolezza, ora all’insegna di una perdita, provocando quelle «inevitabili asimmetrie del cuore» che ci riportano proprio a Bertolucci e, attraverso lui, a una diffusa matrice proustiana.

Così La strada di Morandi ci appare come una piccola Recherche, come la summa di una vita vissuta tra poesia e viaggi, dislocamenti spesso necessari rivelatisi, al filtro della memoria, ulteriori passaggi di una lenta riappropriazione di sé. Tra poesia e viaggi stanno le amicizie, che rendono quegli spostamenti qualcosa di «sentimentale», nel senso che poteva attribuirgli Sterne; e allora si motivano le numerose dediche, qui più fitte, o i testi in cui riconosciamo il carattere e i modi di qualcuno che ha abitato, per un tratto breve o lungo, i giorni di questo poeta, lo «scabro purgatorio» da cui l’esistente/esistito ancora si affaccia, per darci segno della sua consistenza e della sua permanenza affettiva. E si motiva anche il percorso nei testi altrui, con le splendide prove di traduzione («imitazione», come recita il sottotitolo?) del Quaderno francese, da Charles d’Orléans a Blaise Cendrars, secondo una scelta precisa e ben orientata, che fa di questo libro, in sostanza, un’incredibile sala di specchi, di rimandi continui tra ieri e oggi, tra sé e l’altro; forse dura da attraversare, eppure necessaria, per l’autore come per il lettore, affinché le «cose terrestri» possano infine mostrarsi nel loro «schiudersi / segreto».

 

Marco Vitale, La strada di Morandi, prefazione di Gabriella Palli Baroni, Passigli 2024, e. 14.50.

 

 

Non più lo sai farò ritorno

su quel sentiero che infittiva

in alta valle

e tra le resine d’un giorno

di promesse non più

quai calici di ambra quel venire

a patti con la vita

che luce a un tratto sul crinale prendeva

meravigliandosene appena

e poi riconoscendo quanto da un punto

a un altro era respiro, ma solo lì

 

dove il silenzio presto sarebbe sceso

 

 

 

 



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