A distanza di sei anni da Variazioni sul tema, apparso da Aragno, Paolo Ruffilli ha congedato un nuovo libro, Le cose del mondo, per lo Specchio Mondadori. In realtà, come l’autore ci avverte nella premessa, questa impresa affonda in un tempo piuttosto remoto, originandosi da un antico progetto risalente agli anni Settanta. Piace quindi pensare che Le cose del mondo scorra in parallelo ai maggiori titoli di Ruffilli, da Piccola colazione a Camera oscura, da La gioia e il lutto ad Affari di cuore, di fatto accompagnando, nella speciale coerenza espressiva che da sempre caratterizza questo poeta, il farsi di un’opera ormai vasta, di cui, con ogni probabilità, rappresenta se non la summa certamente l’approdo.
Forse per la prima volta, infatti, Ruffilli consegna ai suoi lettori un volume quantitativamente ampio, scandito in sei sezioni riunite in un percorso non privo di una sua progressività discorsiva. La tentazione di considerare queste pagine alla stregua di un’impresa unitaria, al di là delle indicazioni date dal poeta, è dunque forte ed è suffragata dalla filigrana di un disegno, di un percorso intorno alle «cose del mondo», come recita il titolo, che si sviluppa da una precisa prospettiva: quella di chi si volge a smuovere il luogo comune custodito nell’identità della lingua, attraverso l’agilità delle sue rime suasive, che sembrano calare con la studiata casualità dell’ironia, del paradosso, infine della malinconia.
Non a caso il libro prende avvio con una serie di testi dedicati al tema del viaggio, e si comprende presto che si tratta di un viaggio anche e soprattutto metaforico nella densità della natura umana, del suo rapporto con le cose che la circondano, con l’altro-da-sé che ne cattura contraddittoriamente i sentimenti, infine nella lingua stessa, ovvero nello strumento primario di affermazione del proprio esser-ci. Con la pensosa, non insolita leggerezza che ormai lo segna - tratto sempre più raro nella nostra poesia -, Ruffilli affronta i massimi sistemi della nostra quotidianità, ne sviscera le intime tensioni, ne smaschera i riverberi su tutti i nostri sensi. E se la posizione tipica dell’osservatore è quella della stasi, la mente si mantiene mobilissima, cogliendo nella necessaria distanza della messa a fuoco il movimento altrui, fino a colpire nel segno, ovvero mettendo a nudo la stessa realtà, si chiami vita o destino.
Paolo Ruffilli, Le cose del mondo, Mondadori, pp. 206, e. 20.
Il vento della vita
Oltre l’evidenza che segna nel distacco
e fuori dall’abbaglio che ruba luce
nascondendo agli occhi il fondo,
dentro il sistema di molteplici raccordi
passaggi, corridoi, varchi e porte
l’enigma si disvela nel linguaggio:
le cose vive hanno radici lunghe
che pescano sempre nelle cose morte.
Ciò che rinasce puro si trasforma,
prolungandosi, nella speranza del futuro
ed ecco che di colpo il vento della vita
soffia infilandosi da vagabondo
in giro dappertutto per il mondo.
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