Quando
ci accade di pensare, e poi di scrivere «non è per fare polemica», in realtà la
polemica – e l’indignazione che le sta dietro e l’alimenta - sono già montate. Non interesserà a nessuno,
o magari a pochi, però sono indignato. Perché mentre l’Italia di fine estate si
dà molto da fare sul fronte letterario, tra premi e kermesse di ogni genere,
con tutti i poetanti che si affannano ad affollare festival autoreferenziali,
c’è qualcuno che con la poesia ha una frequentazione autentica e che vive, del
tutto in disparte, il proprio isolamento come una forma di indifferenza.
Qualcuno che gli editori, oggi così generosi (forse troppo) con i poeti,
rispetto al passato, si ostinano a non voler pubblicare. Qualcuno che lo Stato,
dopo la concessione di un vitalizio, si è affrettato a dimenticare (sento già
qualche voce levarsi per sostenere che avere un vitalizio, di questi tempi, è
già molto, e dunque viva la sopravvivenza e al diavolo la dignità di una vita
vera). Penso ad Anna Cascella, che da molti anni combatte nel suo quotidiano
con una malattia tra le più terribili. Penso anche a certi aspetti del suo
carattere duro, difficile, ma anche consapevole di un valore con cui la cultura
di oggi non sa, non vuole, non può confrontarsi. Anna ha avuto un esordio tra i
più nobili: i suoi angeli custodi si chiamavano Franco Fortini e Natalia
Ginzburg. La sua prima raccolta apparve in un lontano collettivo nella collana
bianca di Einaudi. Era il 1980, si intitolava Le voglie. Sembrava l’avvio di una carriera, sotto i migliori
auspici; invece non accadde nulla. Molti autori di quei collettivi sono rimasti
noti agli addetti ai lavori e non sono stati accolti nel catalogo einaudiano.
Erano anni difficili, c’era stata una crisi che avrebbe pesato sull’identità
storica dello Struzzo. Così altri poeti, del tutto nuovi, riuscirono a entrare
in quella collana, e la damnatio memoriae
andò a colpire la serie dei «nuovi poeti italiani». Anna, poi, non era aiutata dalle sue
spigolosità. Qualche anno dopo il suo editore divenne Vanni Scheiwiller.
Apparve finalmente un libro organico, Tesoro
da nulla, sotto gli auspici del premio senese «Laura Nobile». Fortini era
in giuria e dimostrò la sua fedeltà e la sua coerenza, firmando anche il
risvolto del volume.
Ancora
un lungo intervallo di tempo, interrotto da qualche plaquette, da pubblicazioni
in riviste, da preziose edizioni d’arte, avrebbe segnato quella vita poetica
così piena eppure così discontinua nei suoi riscontri. E ancora un premio, il
«Tarquinia Cardarelli», permise all’editore Gaffi di pubblicare l’opera omnia
di Anna Cascella Luciani, per interessamento di Massimo Onofri. Nel 2011
apparve così Tutte le poesie, ma a
distanza di pochi anni il libro risulta introvabile. L’editore non lo ha più
ristampato. Eppure ad Anna non sono mai mancati i lettori autorevoli: ricordo
una splendida, ampia recensione di un critico difficile e diffidente come
Franco Cordelli, sul «Corriere della Sera». Come ricordo Anna, in una lontana lettura al
teatro di Ostia antica, terminare la sua esibizione leggendo una poesia di
Cordelli (taccio il commento di Franco, che mi sedeva accanto). Ora si annuncia
un nuovo libretto, per le edizioni L’Obliquo di Brescia, che però hanno appena
cessato l’attività, dopo trent’anni di bellissimi libri (e autori di tutto rispetto,
tra i quali mi piace ricordare Attilio Lolini e Franca Grisoni). Così queste
nuove poesie, “confezionate” in una copertina di Ettore Spalletti, saranno
ancora una volta affidate a pochi, eletti destinatari. Ne scriverò, perché mi
sono sempre occupato di quanto Anna va creando; ma mi spiace per chi non potrà
ricevere quest’ultima fatica. Mi spiace (ma è un eufemismo) che un poeta
autentico non abbia più un editore di riferimento. Non era accaduto anche a Pagliarani?
Qualcuno potrà obiettare che ci sono poeti senza un’evoluzione interna. Sarà.
Non è questo il problema. Marina Cvetaeva sosteneva che ci sono poeti con
storia e poeti senza storia, ma non ne faceva certo un discrimine editoriale.
Con questo criterio, che suona più come una scusa, o come una difficoltà a
rapportarsi con l’autentico, oggi nessuno pubblicherebbe più Sandro Penna:
semplicemente il maggior lirico del nostro Novecento, al quale, spesso, la
poesia di Anna Cascella è stata accostata. Non entro nel merito della questione,
che è quel che è: niente più che un paragone per consentire ai nuovi lettori di
comprendere in quale area ci muoviamo. Ma, se rovesciamo la facciata, il
negativo ci dice qualcosa di molto più inquietante. Esiste davvero una poesia,
una poesia vera, che non siamo più in grado di sentire, di recepire? Quando
calerà la grande polvere del presente, che ci impedisce di guardare ciò che
abbiamo così vicino?
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