martedì 9 febbraio 2016

L'olio della poesia. Incontro con Biancamaria Frabotta




Il Salento è tornato di moda, da più di un decennio ormai, e questa moda sembra non volersi arrendere al tempo. Segno della qualità di un territorio, e delle iniziative che ne sostengono la vita culturale. Sarà la pietra bianca delle chiese e dei palazzi, la luce che vi si riflette e si irradia nelle varie fasi del giorno; sarà la limpidezza delle acque, la salute del paesaggio, le tradizioni e la taranta, o il risvolto dei recenti film di Ozpetek che lì sono stati ambientati, ma questa regione non smette di sorprenderci e di invitarci. Anche per quello che riguarda la poesia. A Manduria era attivo un editore “storico” come Lacaita, che molta parte ha avuto nella promozione delle officine degli anni Settanta; e da almeno un ventennio il testimone è passato a Piero Manni, che con Anna Grazia D’Oria pubblica una rivista come «L’immaginazione», tra le più libere e interessanti del panorama letterario, oltre a diverse collane dove la poesia è preponderante. Proprio a lui è affidata l’edizione delle plaquette che traggono origine da una manifestazione forse unica nel suo genere, e che rinvia a eventi di altri tempi, come il premio «Antico fattore» negli anni trenta (lì dominava il Chianti): L’olio della poesia.
Accade a Serrano di Carpignano Salentino. A cominciare dal 1996, infatti, ogni anno poesia e tradizione agricola si coniugano nel segno dell’olivo. Un poeta è invitato a incontrare il pubblico, e torna a casa con una buona scorta di ottimo olio locale. Ha iniziato Sanguineti, e si sono succeduti, tra gli altri, Luzi, Raboni, Magrelli, De Angelis, Cucchi, fino a Biancamaria Frabotta, della quale oggi abbiamo l’ultima plaquette, Per il giusto verso. Scrive il curatore Massimo Melillo nella nota introduttiva che la «poetica di Biancamaria Frabotta è oggi una delle testimonianze del valore sempre più attuale dell’agire letterario», e non potremmo che essere d’accordo. Insisterei proprio su quell’«agire», che da sempre caratterizza e forse condiziona la vita creativa di quest’autrice, nel segno di una presenza, di una partecipazione e di un impegno, fin dal suo esordio, di estrema caratura morale. E civile, naturalmente. Sia che il suo sguardo si affacci sugli eventi della storia, grande o piccola, sia che ripieghi nella quotidianità della vita domestica e amicale, da sempre la sua poesia non si è sottratta a farsi punto di osservazione, prospettiva critica sulle cose del mondo. Frabotta ha saputo tenersi distante dal facile cronachismo, dal minimalismo intimistico, dal diarismo che spesso hanno segnato, come limiti, molte delle esperienze poetiche dei suoi compagni di strada, nonché di quelle più recenti. Oggi un testo come Il rumore bianco si conserva nella sua piena attualità, e ci auguriamo di poterlo presto rileggere in un Oscar da tempo annunciato. La patina dello stile, questo cancro che corrode la scrittura, qui sembra non essersi posata, e la forza di quelle poesie si è mantenuta intatta.
Ci sono poeti che appaiono sulla scena con un loro preciso e indistinguibile bagaglio linguistico, a cui restano fedeli. Due esempi diversissimi, ma evidenti: Penna e Raboni. E ci sono poeti che nel tempo conquistano una loro fisionomia, che crescono nella storia e ne registrano i dolori. Biancamaria Frabotta appartiene a quest’ultima specie. La sua scrittura è davvero cresciuta, ha conquistato nuovi spazi, ha inglobato nuovi temi, restando coerente con un mandato interiore. Ha ampliato le sue maglie, così che un mondo ha potuto entrarvi e riuscirne trasformato dallo sguardo del poeta. E dietro ogni immagine, noi possiamo cogliere una precisa metafora del viaggio che abbiamo compiuto, di quello che ci aspetta, in quella straordinaria empatia che solo la poesia sa costruire. Prendiamo i versi intitolati Il silenzio della bicicletta:

Sembra che tocchi il pedale
le nascoste radici dei pini
la strada stretta fra i campi
la fossa al bordo degli ulivi
lo sterco di cavalli, o di mucche
il nostro andare fra alti e bassi.
Ascoltiamo, fra i toni di verde
il silenzio della bicicletta.
“Siamo alla frontiera e dietro
me non c’è nessuno”.
Parlavo senza pensare se tu
mi udivi, nella quieta volata
fra vetrine scintillanti di ali.
Ci aspetta una prova di guerra
di parole taglienti scambiate
efficienti, già pronte ad agire.
Ascoltiamo, come su un’isola
il silenzio delle biciclette.
L’infinito aculeo della pace perduta.

Anche qui la situazione evocata travasa dal privato allo storico. Basta un’immagine veloce, una pennellata rapida, come una pedalata, e gli spettri della storia tornano ad affacciarsi intorno a una minaccia incombente. Il linguaggio sta per farsi ostile, ma questa dimensione è solo annunciata. Intanto la «pace perduta» è un dolore che non cessa e che non ha misura. Un «infinito aculeo». Quella che potrebbe sembrare una fuga è invece un incontro prossimo e drammatico, a cui non è dato mancare.

Nella plaquette Frabotta ha voluto inserire, come «omaggio», quattro traduzioni da Emily Dickinson. Non mi ero ancora imbattuto in questa fisionomia dell’autrice, ma non resto sorpreso più di tanto: queste versioni non mancano di notevole sintonia con il suo orizzonte creativo. Lo dilatano nel tempo, a ritroso. Come scrive Antonio Errico nella nota conclusiva, le parole di Biancamaria Frabotta «hanno la verità dentro ogni sillaba, sono le rughe di tutta la vita».

1 commento:

  1. Bellissimo contrasto tra quel "ci aspetta una prova di guerra " e "il silenzio delle biciclette", la frattura tra due mondi e due età di cui Bianca Maria è nettamente testimone e interprete. Chi sia quel Tu è ininfluente (poetesse amiche scomparse, dialoghi con l'amato ?), di certo alla frontiera "non c'è nessuno ", dopo sereniani trascorsi l'oggi è mutato, umanamente, e antropologicamente in impoverimento - di orizzonti e di voci - Ecco che Bianca ne ha serbato memoria, e SA. Grazie, Roberto e grazie Biancamaria, Maria Pia Quintavalla

    RispondiElimina