A soli due anni dalla precedente
raccolta, Un amore con due braccia,
Donatella Bisutti congeda un nuovo volume di poesie per la casa editrice
Empirìa, dal titolo Dal buio della terra.
È un titolo che ci riporta a una delle prospettive, e delle tematiche, privilegiate
da sempre da quest’autrice nel suo lungo percorso. Vorrei citare almeno Penetrali, per restare in un’area
semantica attigua, libro pubblicato nel lontano 1989 con una bella introduzione
di Giovanni Tesio.
In effetti, scorrendo queste
nuove poesie, il disegno che si delinea rimanda a una dimensione squisitamente
ctonia, ma tutt’altro che infera. Termini come «fondo», «profondo», «buio»,
«oscuro» pervadono l’intera struttura, invitandoci ancora una volta, in questo
faticoso avvio di secolo e di millennio insieme, a quell’atteggiamento di
percettività discendente con cui la modernità aveva avviato la sua esplorazione
dell’io e del mondo. Almeno a partire da Leopardi, e del resto l’immagine
simbolica della ginestra, quale emblema di resistenza, torna ad affacciarsi in
questi versi. Ma quella che si prefigurava come una discesa «dolce» diventa qui
un’azione complessa, per più aspetti ipotecata dal pensiero della morte,
dall’irrequietezza della finitudine. Lo spaziotempo infinito dei romantici si
riduce infatti a una dimensione unica, dolorosamente unica: è quella
dell’inesorabilità e dell’irreversibilità del tempo, che solo un’ipotesi
mitica, del resto tenacemente esibita può arrivare a scalfire, creando
un’illusione necessaria. L’illusione di un eterno ritorno, che comunque non
sarà mai lo stesso: «Primavera ritorna / ma non / lo stesso fiore», ammonisce
il poeta.
Dunque cosa resta? Come è
possibile fronteggiare il pensiero stesso della caducità, della costrizione a
discendere tra le ombre quando la stessa vita è attraversata da zone oscure? Il
confine tra vita e morte, intesa come prefigurazione, si fa più labile quando
quelle zone oscure divengono la materia stessa della poesia e ne stimolano il
potere immaginifico. Per questo il tempo diviene il grande antagonista di
questi nuovi versi, associato, come già suggeriva Brodskij, all’immagine
dell’acqua che scorre. Queste «altre poesie» di Donatella Bisutti invitano
pertanto alla ripresa di un discorso più volte tentato: la luce illumina la
realtà e la ridisegna, ogni volta, ponendone in risalto gli aspetti
inquietanti, aprendo ferite nell’ottusità del quotidiano. L’alba, scrive
Bisutti, «getta il mondo / nella sua prima infanzia». Ed è proprio lì, soltanto
lì, che il mito può provare a riscattare il dolore del presente, facendo di
quella fiaba antichissima un luogo incontaminato dove il seme della poesia
torna incessantemente a nutrirsi, e dove il Tempo (finalmente con la maiuscola)
cessa di essere una banale misura per svelarsi nella sua più autentica
sostanza. Così Pinocchio, simbolo di un’infanzia piegata e addomesticata,
rifiuta di farsi carne umana e preferisce restare ciò che è: un mito moderno
inciso in un ciocco di legno, che nessuna legge potrà mai piegare.
Donatella Bisutti, Dal buio della
terra, Empirìa 2015, e. 15.00
La veste chiara
La luce della giornata
ancora esita, si impiglia nei
vetri.
Una felicità così limpida, e
verso sera
il limite dei campi sarà incerto
e, in fondo al ritorno, il buio.
Cosa avrò fatto di una seta così
chiara,
dove mi sarò seduta così a lungo
da sciuparla,
spiegazzata com’è ora, tutta
piena di macchie.
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