Posto qualche riflessione su letteratura, web, nuovi supporti.
Si ha l’impressione, mettendo a confronto le più
recenti riflessioni sul passaggio dai supporti tradizionali della fruizione del
libro a quelli elettronici, di avvertire una sfasatura tra le acquisizioni
della teoria letteraria post-crociana e le affermazioni e gli auspici (o i
timori) di chi costantemente osserva l’evolversi di una situazione in atto. È
innegabile, tuttavia, che un certo determinismo gravi sulla prospettiva
attraverso cui guardiamo a queste trasformazioni, ma è altrettanto vero che
nell’ottica lunga del “processo” storico, che è ancora una conquista del
vecchio mondo, esse ritrovano le loro ragioni e la più giusta dimensione entro
cui collocare la loro portata effettiva. Se la mutazione rappresenta un
fenomeno in corso, evidentemente ancora agli albori perché se ne possano trarre
conclusioni ancorché provvisorie (sia da parte di chi giudica con atteggiamento
scettico o neutrale, sia da parte di chi ritiene di trovarsi di fronte a una
nuova forma di espressione), è solo all’interno di una visione sistematica del
problema che potremo rinvenire un’adeguata impostazione delle tematiche che ci
coinvolgono, anzitutto sul piano della nostra identità, personale e collettiva.
Intendo dire che sarebbe un errore limitare le
argomentazioni a certi singoli aspetti, isolando pertanto le azioni della
scrittura e della lettura, poiché l’effetto sarebbe ben peggiore di una
qualsivoglia periodizzazione frantumata. Se accettiamo l’idea del processo, per
l’appunto, e rifiutiamo quella di una scissione storica tra la prima e la
seconda alfabetizzazione (che altro non è che il riflesso di una
contrapposizione ideologica francamente fuori tempo e fuori luogo) e
riflettiamo più ampiamente con gli strumenti che la letteratura stessa ci ha
messo a disposizione, non tarderemo a comprendere che ciò a cui assistiamo è
sicuramente un evento di vasta entità, ma ancora fortemente limitato nelle sue
stesse potenzialità. Siamo all’alba di una lentissima metamorfosi delle nostre
facoltà comunicative e i nostri linguaggi, che sono la nostra identità,
subiscono anch’essi questa sorta di rotazione antropologica che non può
lasciare indifferenti la nostra grammatica, la nostra sintassi e il lessico di
riferimento: ogni elemento della nostra espressività è chiamato in causa.
In questa visione sistematica, risulterà piuttosto
evidente che le categorie classiche della comunicazione non potranno più essere
intese come monadi a confronto, ma come parti di una più complessa
fenomenologia in cui rientrano elementi altrettanto importanti: l’emittente non
è più l’autore tradizionale, ma è una delle possibili sintesi di un intero
modello culturale, di cui fa parte il destinatario. Tra i due, il canale
comunicativo è rappresentato non solo dal mezzo (il libro cartaceo o l’e-book)
ma anche da chi veicola in una determinata direzione quello stesso canale: l’editoria
e il mercato. Le ricadute sul messaggio sono intuibili da chiunque. Ne viene
che la nozione stessa di testualità si complica, fuoriuscendo da quell’aura di
veneranda auctoritas che l’età della
tradizione riconduceva etimologicamente al concetto di autore, demiurgo che
forgiava verità al centro di un’assiologia pre-esistente e inevitabilmente
pregiudiziale. Il testo messo in circolazione, vivo e vivente, diviene “opera”
solo nel contatto concreto con il lettore. La letteratura sarebbe quindi un
fenomeno che non passa semplicemente dalle mani dello scrittore a quelle del
lettore, secondo un modello “2+2”, ma qualcosa che accadrebbe nella loro somma,
nel loro incontrarsi. Le acquisizioni dell’estetica della ricezione, in questo
senso, confortano una visione che è anche sociologica – e dunque non può
prescindere da ogni discorso vòlto alla costituzione di una biblioteca – ma
anche il ruolo dell’editore, che si configura in toto come elemento mediale, influisce su questa dinamica, per
cui sarebbe più opportuno sostenere che l’opera è il risultato di un processo a
sei mani, piuttosto che a quattro.
Questo sistema indubbiamente complesso è una rete di
relazioni mai univoche che, dal punto di vista della formazione del nuovo
lettore, pone e lascia aperti alcuni interrogativi, invece di dare delle
soluzioni. Il primo di questi riguarda la materia stessa, la sostanza del tradere, che si fonda sulla possibilità
di un canone. Ne deriva una posizione conservativa, museale della biblioteca,
che è, a sua volta, l’espressione di una cultura classificabile, ordinabile,
sintetizzabile e riferibile a un sapere certo, positivisticamente atteggiato.
Certamente qualcosa di più di un residuo di umanesimo antropocentrico permane
in questa visione, ma al termine di un secolo di diffuso relativismo (e di
conquistata ampiezza e libertà di forme e generi) e all’inizio di un altro
comunque destinato a essere segnato da nuove modalità di diffusione culturale,
cosa possiamo ancora intendere con tradizione e canone? E se la crescente
facilità di accesso a questi nuovi modi, per quanto ancora embrionali,
rappresenta un processo di democratizzazione dei modelli, cosa rappresentano
ancora la ricerca, la fondazione di uno stile, insomma tutti quegli ingredienti
che innalzavano il tasso di letterarietà di un testo, facendone la sintesi di
un’elitaria cultura highbrow di cui
si sarebbe nutrito il canone del futuro?
Facciamo un passo indietro. Non è soltanto la
relatività del canone a problematizzare la costituzione della biblioteca a
venire. Anzi, è l’idea stessa di biblioteca che sarà chiamata a rispondere a
esigenze in parte diverse rispetto al passato, da un lato esasperando il suo
portato storicizzante, rendendo ancora fruibile il sapere dell’età della
tradizione, dall’altro trasformandosi, con attenzione sempre più militante
piuttosto che attualizzante, in un’entità mobile, in un servizio proteiforme e
cangiante, quale possiamo intuire la letteratura: la quale, in virtù dei nuovi supporti
(che l’i-pad o il kindle, in verità, ci lasciano soltanto adombrare) potrà
liberamente esasperare la sua implicita ipertestualità, dirigendola verso forme
di ibridismo, di cui la moderna contaminazione dei generi rappresenta solo uno
stadio primitivo e sperimentale. Insomma, dalla letteratura della certezza,
attraverso quella del possibile, ci troveremo infine a transitare nella
letteratura del molteplice. Molto più concretamente il lettore di domani dovrà
misurarsi, come già accade per il cittadino della tarda galassia
gutenberghiana, con l’insorgere di nuovi generi o con la legittimazione di
alcuni in un sistema letterario globale e pluricentrico, ciò che ha già
riguardato, ad esempio, il fumetto e la webliterature.
Resta da definire, ammesso che sia fattibile e
comunque fin da ora, con uno sguardo allargato al nostro presente, attraverso
quali canali stimolare l’interesse per la lettura, tenendo presente che in
quest’ambito i problemi sono costituiti sia dalla nozione stessa di letteratura
per l’infanzia, vasto contenitore dai confini sempre incerti e discutibili, sia
dal fattore dell’oralità, che fuor di dubbio si presenta come uno stimolatore
dalla notevole carica maieutica. L’identificazione del destinatario sembra qui
un compito relativamente semplice, ma non basta certo isolare alcune fasce
anagrafiche, come quelle dell’età scolastica, per determinare con accettabili
margini di esattezza la capacità di rapporto dell’utente con il testo, ciò che
i teorici definiscono come competence;
rispetto a questo concetto, in effetti, il panorama si è reso molto più
fluttuante e, sociologicamente, più ibrido, non riuscendo più a distinguere tra
un’educazione medio o piccolo-borghese e in ogni caso dovendo tenere in conto
le recenti migrazioni e il multiculturalismo che ne consegue, per tacere del
notevole incremento di nozioni, specie sul piano tecnico, di cui sono
portatrici le giovani generazioni. In tal senso, almeno in linea teorica,
sarebbe oggi possibile usufruire di questo spostamento in avanti di alcune
competenze reali, per tentare l’accostamento ad opere un tempo relegate a un’età
più matura. La presenza della guida adulta, inoltre, porta almeno a otto il
numero delle mani che concorrono all’evento della testualità nella sua
pienezza.
Se queste premesse hanno, come è sotto gli occhi di
tutti, un loro fondamento e risultano condivisibili, i generi dell’avvio alla
lettura che costituiscono l’ossatura della biblioteca nella scuola
gutenberghiana subiscono una certa ossidazione, rispetto al quale la novità dei
supporti solo in parte, o in parte ancora, offre soluzioni accettabili. Infatti
la visione del sapere contemporaneo appare offuscata dalla mancata sinergia tra
immagine e immaginazione, ciò che comporta, di fatto, un indebolimento del dominio della letteratura tradizionale,
ovvero della sua capacità di agire immagini in ciascun lettore, quindi di
ricreare, per proprio conto, l’universo narrativo di cui è chiamato a
partecipare. Il problema si pone anche all’interno dei generi classicamente
ascrivibili a una pedagogia dell’immaginazione, come la fiaba, che ancora si
presterebbe, per la sua natura sovranazionale, come straordinario collante
interculturale; mi riferisco, soprattutto, alla fiaba raccontata e quindi a un
supporto primario di trasmissione, quale è la voce del genitore o dell’insegnante.
Già il libro illustrato, oltre a presentarsi come un prodotto in cui il piano
della rappresentazione verbale e quello della rappresentazione figurativa
spesso si sovrappongono l’un l’altro senza mai davvero incrociarsi, confonde le
coordinate della ricezione, limitando l’esercizio di accompagnamento che ogni
parola implicitamente compie nella mente del lettore; laddove la componente
figurativa prevale su quella testuale, fino ad assumere un carattere ludico
come nel pop-up, questo dominio è
davvero ridotto a mero espediente di adescamento del lettore, ciò che si motiva
solo se il risultato sarà quello di averne creato uno con un sufficiente
livello di consapevolezza e pronto a misurarsi con il pieno dominio del testo
scritto.
Analogamente l’altro genere principe del processo
formativo gutenberghiano, la poesia, spesso nella fattispecie della
filastrocca, sconta una certa stanchezza nella sua diffusione, con il rischio,
purtroppo riscontrabile al termine del percorso scolastico, di allontanare per
sempre dalla letteratura. Al processo della fruizione mnemonica si è andato
sostituendo quello dell’interattività, ovvero del portare allo scoperto i
meccanismi primari dell’elaborazione del testo, i suoi ingredienti e le loro
relazioni, allo scopo di rendere ulteriormente partecipe il lettore, chiamato a
incarnare, in versione fac-simile, il ruolo che è del poeta. Nonostante questo
limite evidente, l’appropriazione delle tecniche espressive, sebbene a un
livello necessariamente elementare, ha tradotto in un approccio concreto e
tangibile la sostanza ipersegnica e ipertestuale della poesia, rappresentando,
con essa e attraverso di essa, un formidabile vettore educativo all’elaborazione
del linguaggio e comunque stimolando la sensibilità: in questa direzione, il
processo attuale di informatizzazione offre possibilità ancora inesplorate
proprio sul piano didattico, ampliando le modalità di trasmissione di un sapere
arcaico nel quale ancora non ci è dato di non identificarci.
Sugli aspetti e sulle manchevolezze, reali o
presunte, della letteratura sul web o comunque nella cornice digitale, e di
quelli della letteratura direttamente prodotta sul web e per il web, molto è già
stato scritto, ma è pur vero che si tratta di valutazioni in tutto e per tutto
condizionate dalla virtualità dell’oggetto. Nonostante i grandi passi in
avanti, l’alfabetizzazione informatica rappresenta un dato ancora relativo
perché possa essere preso in considerazione come un marcatore sociale
pienamente attendibile, così come l’informazione su quanto appare in rete è
ancora un’entità labirintica, almeno quanto la rete stessa. In ogni caso, è
davvero possibile, a questo stadio, sciogliere la riserva sul nostro rapporto
con l’oggetto, inteso come supporto cartaceo o digitale? Possiamo davvero
essere certi, ad esempio, che la cornice informatica rappresenti una
limitazione nella fruizione spazio-temporale del testo? Quando affermiamo che
la democrazia del web in realtà ottunde le nostre capacità di selezione, stiamo
elaborando un rifiuto o un contributo? O, invece, la scarsità dei nostri
approcci rende inutili i nostri giudizi e le nostre perplessità, ancora
sottomessi a un regime umanistico, a un rapporto per certi aspetti feticistico
con il prodotto gutenberghiano? Restia a un atteggiamento conservativo e
apocalittico come a un incondizionato aderire a qualcosa di indefinito, la
biblioteca scolastica non deve perdere la sua identità didattica, arricchendola
e complicandola con ogni nuovo supporto disponibile, ma senza mai perdere di
vista quel dominio della parola scritta, anche nel suo relazionarsi con altri
linguaggi, attraverso cui la mente si fa mente pensante e la cultura si fa
elaborazione di una consapevolezza critica.
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