Nella collana di «Poesia
contemporanea» delle edizioni Nomos, diretta da Marisa Ferrario Denna, è
apparsa una nuova opera di Alberto
Toni, Vivo così, introdotta da alcune
lucidissime osservazioni di Mario Santagostini. Non saprei dire di meglio,
rispetto a quanto afferma il prefatore in queste sue brevi, ma dense
annotazioni di lettura, e dunque mi perdonerà se ne riprendo il filo (o i
fili). Santagostini non entra nel vivo di ciò che il libro ambirebbe a
raccontare, in ciò che ne potrebbe rappresentare l’ossatura tematica, e si
comprende subito perché. A catturare la sua attenzione sono due problemi,
anzitutto: una questione di genere e la modulazione del ritmo, intimamente
connesse tra loro. Vengo subito alla prima, per la quale non si esita a
definire il testo come «borderline»: Toni ha da sempre rimescolato le carte tra
lirismo ed epicità, fin dai suoi lontani esordi, e ciò rappresenta una
caratteristica ormai tutta sua, un sigillo della sua scrittura. Non si tratta
soltanto di cogliere o tratteggiare delle sfumature tonali, c’è qualcosa di
più: nel lessico, nell’impostazione di fondo, che di fatto oscilla tra queste
due dimensioni, non all’insegna di un’indecisione, né tanto meno di
un’irresolutezza. Siamo di fronte a una scrittura naturalmente anfibia, in
questa prospettiva.
Come il genere è indefinibile
(Santagostini richiama a sostegno delle sue osservazioni un’intera tradizione
della modernità, e non lo si può certo contraddire), anche il ritmo sembra
mimare il proprio discendere da retaggi più o meno riconoscibili, in realtà
lasciando cogliere certe libertà, certe irregolarità, o anche ambiguità
metriche, rispetto alle quali si riconferma l’ipotesi di partenza: siamo di
fronte a un verso lirico o a un verso narrativo, o che possa ambire alla narrazione?
Tutta la struttura di Vivo così ci
lascia su questa altalena, spingendoci ora verso un’ipotesi, ora verso
l’ipotesi opposta. In realtà la poesia di Alberto Toni vive di una
complementarità tra esposizione del soggetto (lirica) e narratività (corale, dove
l’io è solo uno dei vari personaggi di una storia possibile). Queste due
pulsioni sono fuse, da sempre, in un unico registro, che però si sviluppa a
partire da due punti di osservazione differenti: quello della concretezza e
quello dell’astrattezza. Oppure, se si preferisce, tra particolare e generale,
il tutto senza alcuna soluzione di continuità, ma tramite accostamenti,
sequenze dirette. Accade quasi ad ogni pagina di questo libro.
Forse se ne possono spiegare le
ragioni in quella ricerca, tutta etica, di “esemplarità” che mi pare la più
autentica ambizione di Toni. È un’esemplarità che si trascina sulla soglia
dell’allegoria senza mai varcarla del tutto, per approdare subito dopo a un
profondo sentimento di realtà, a un bisogno di ritrovarsi dentro le coordinate
consuete. È in questa tensione che si fonda l’ipotesi di romanzo a cui
Santagostini allude. Ci sono nomi, personaggi, perfino un tu con cui
costantemente dialogare. Si avverte, dietro ogni poesia, la presenza di un
dolore che non sa risolversi solo nel privato, ma che vuole essere condiviso, e
dunque farsi voce corale, esperienza di tutti: «attesa», dunque, vigilia»
(lessico ermetizzante) che cessino trappole e assedi e un nuovo tempo si
presenti con tutto il «viatico del non accaduto».
Alberto Toni, Vivo così,
introduzione di Mario Santagostini, Nomos 2014, e. 14.00.
Se con animo lieto un passo
intorno al mondo
fosse l’anello ritrovato,
distribuito come campione
d’amore.
Tienimi per quel giro stabilito:
presto,
nel tempo di natura vorrei stare.
Nessun commento:
Posta un commento