sabato 28 febbraio 2015
Improvvisazioni su Solstizio - il video
Posto il link del video della presentazione di Solstizio a Monreale, montato da Rocco Micale.
https://www.youtube.com/watch?v=91H4r1Ry16k
martedì 24 febbraio 2015
Solstizio a Monreale - una fotocronaca
Fotocronaca della presentazione di Solstizio presso la Galleria Comunale di Arte Contemporanea «G. Sciortino», Monreale, 13 febbraio 2015. Con Elio Pecora, Giuseppe Cutino, Tot Basso, Ignazia Ferraro e Rocco Micale, che ha voluto e organizzato l'evento, iniziato alle 16,00 con la visita guidata al Fondo Antico della Biblioteca dei Benedettini.
Qui sono Con Elio Pecora, mentre osserviamo alcuni preziosissimi codici conservati presso il Fondo ed esposti al pubblico presente grazie all'infaticabile e coltissima Ignazia Ferraro.
Questa è una panoramica del Fondo Antico, con le sue preziose scaffalature e i soffitti affrescati.
Giuseppe Cutino legge le poesie da Il secondo trapezio, accompagnato dalla chitarra di Toti Basso.
Elio Pecora ascolta (e intanto pensa a quello che dirà a breve)
Giuseppe Cutino sta per terminare la sua lettura...
ed Elio Pecora comincia la sua densa introduzione; accanto a lui il quadro che Rocco Micale mi ha donato, ispirato a Davide e Golia. Golia, innamoratosi di Davide, gli si arrende consegnandogli simbolicamente la propria testa. Una bellissima interpretazione della poesia.
Giuseppe Cutino legge altre poesie: Davide e Golia, La casa, Auden
Elio Pecora nuovamente in ascolto...
Il mio discorso e i saluti finali, con il sorriso di Toti Basso.
E, non da ultimo, i ringraziamenti a tutti quelli che hanno partecipato, di qua e di là dai microfoni; e un grazie speciale ad Alessandro Licata che è l'autore di queste fotografie.
domenica 22 febbraio 2015
mercoledì 18 febbraio 2015
AILANTO n. 15 - Su Claudio Gargano
Claudio Gargano è quello che si
dice un poeta “indipendente”. Lo è per la garbatezza con cui pubblica e
dispensa le sue raccolte, tutte edite da piccoli editori di qualità o in forma
di piccole plaquette, e perché di rado ci si imbatte in lui, nelle occasioni in
cui la poesia si mostra in pubblico, se non nella veste di spettatore attento.
La mole degli interventi sul suo lavoro poetico non è cospicua e i suoi
riferimenti, piuttosto che attingere al grande serbatoio della tradizione
italiana o francese, respingono tentazioni orfiche e simboliste volgendolo alla
ricerca di modelli più pacati e narrativi, come quelli di certa poesia inglese
o americana. La sua officina, dunque, vive e si attesta per suo conto, senza
inseguire facili mode e nutrendosi anche di un grande patrimonio narrativo
novecentesco, di altissima levatura, come mostrano gli scaffali della sua
biblioteca. Gargano è anche un raffinato interprete di quella narrativa: basti
ricordare, qui, almeno il volume dedicato all’omosessualità nella letteratura
italiana del Novecento e l’altro, ugualmente denso, su Capri “uranista”.
Ma la parte del suo lavoro che mi
ha coinvolto di più resta quella della poesia. Da non so più quanti anni ormai,
e dunque da sempre, Gargano va disegnando una sua dimensione femminile, così
evanescente da trasfigurarsi, nei versi, nel suo esatto contrario. Ogni sua
poesia è centrata su una donna, in forma di lettera, di dedica, di ritratto:
ogni sua donna diventa immediatamente il personaggio, la tappa, di un inesausto
travaglio nei confini del femminile. Di testo in testo, di raccolta in
raccolta, Gargano insegue la sua dame
sans merci; ne avverte tutto l’incanto e il pericolo; sa benissimo che ogni
infrazione al codice nuziale si tramuterebbe, nel concreto, in una effrazione,
in un atto di crudeltà assoluto verso una dinamica comportamentale che deve
mantenersi sulla soglia dell’ideale. Anche se l’immaginazione procede in un
senso tutt’altro che petrarchesco; o meglio, Gargano è forse l’ultimo
petrarchista in grado di allestire un vastissimo canzoniere amoroso – di un
amore irrealizzabile, per l’appunto, fantasticato – dove la donna riesce ogni
tanto a dismettere i panni dell’angelicità per mostrarsi in tutta la sua
energia sensuale. A patto, però, di restare così sulla carta.
Non sorprende che l’ultima
tranche di questo canzoniere, data alle stampe per Empirìa, si intitoli Diario di un bugiardo.
L’autobiografismo, si sa, è il primo dei grandi travestimenti letterari e
Gargano non viene meno al precetto. Il suo io poetico è una perfetta proiezione
che gli consente libertà inaudite, altrimenti impraticabili; una sorta di
controfigura che può raccontare – e raccontarsi – un’identità multipla e
complessa, votata all’illusione. In questo torna ad essere francese: lo spazio
della pagina diventa automaticamente il luogo del sogno e della sua scrittura,
della sua fugace, effimera materializzazione. Il verso non tiene e non vuole
tenere il ritmo, perché nulla è davvero memorabile: piuttosto si adagia
narrativamente, senza rinunciare al gioco delle rime o anche delle assonanze,
perché è proprio lì, alla fine, che Gargano vuole condurci, in quella sorta di
banda laterale, di colonna fonica, destinata a sorprenderci per un istante e
poi a crollare come una parete senza cemento, perché possa apparire la prossima
figura, il prossimo fantasma dietro la seduzione di un semplice nome. In questo
Diario compaiono anche figure
maschili: poeti, amici, intellettuali, compagni di strada. Un requiem
per il padre chiude il volume. Ancora autoritratti per interposta persona.
Claudio Gargano, Diario di un
bugiardo, Empirìa 2014, e. 12.00.
(Veronika)
Il miele dei baci, Dea mortale,
si tramuta in fiele
appena il tempo riprende la sua
marcia trionfale.
giovedì 12 febbraio 2015
Piergiorgio Viti su Solstizio
Posto il link di una recensione di Piergiorgio Viti, apparsa su «Poetarum Silva». È la prima a toccare alcune corde "civili" della mia scrittura.
http://poetarumsilva.com/2015/02/12/tra-patriarchi-e-profeti-il-solstizio-di-roberto-deidier-di-piergiorgio-viti/
http://poetarumsilva.com/2015/02/12/tra-patriarchi-e-profeti-il-solstizio-di-roberto-deidier-di-piergiorgio-viti/
mercoledì 4 febbraio 2015
AILANTO n. 14 - Su Alberto Toni
Nella collana di «Poesia
contemporanea» delle edizioni Nomos, diretta da Marisa Ferrario Denna, è
apparsa una nuova opera di Alberto
Toni, Vivo così, introdotta da alcune
lucidissime osservazioni di Mario Santagostini. Non saprei dire di meglio,
rispetto a quanto afferma il prefatore in queste sue brevi, ma dense
annotazioni di lettura, e dunque mi perdonerà se ne riprendo il filo (o i
fili). Santagostini non entra nel vivo di ciò che il libro ambirebbe a
raccontare, in ciò che ne potrebbe rappresentare l’ossatura tematica, e si
comprende subito perché. A catturare la sua attenzione sono due problemi,
anzitutto: una questione di genere e la modulazione del ritmo, intimamente
connesse tra loro. Vengo subito alla prima, per la quale non si esita a
definire il testo come «borderline»: Toni ha da sempre rimescolato le carte tra
lirismo ed epicità, fin dai suoi lontani esordi, e ciò rappresenta una
caratteristica ormai tutta sua, un sigillo della sua scrittura. Non si tratta
soltanto di cogliere o tratteggiare delle sfumature tonali, c’è qualcosa di
più: nel lessico, nell’impostazione di fondo, che di fatto oscilla tra queste
due dimensioni, non all’insegna di un’indecisione, né tanto meno di
un’irresolutezza. Siamo di fronte a una scrittura naturalmente anfibia, in
questa prospettiva.
Come il genere è indefinibile
(Santagostini richiama a sostegno delle sue osservazioni un’intera tradizione
della modernità, e non lo si può certo contraddire), anche il ritmo sembra
mimare il proprio discendere da retaggi più o meno riconoscibili, in realtà
lasciando cogliere certe libertà, certe irregolarità, o anche ambiguità
metriche, rispetto alle quali si riconferma l’ipotesi di partenza: siamo di
fronte a un verso lirico o a un verso narrativo, o che possa ambire alla narrazione?
Tutta la struttura di Vivo così ci
lascia su questa altalena, spingendoci ora verso un’ipotesi, ora verso
l’ipotesi opposta. In realtà la poesia di Alberto Toni vive di una
complementarità tra esposizione del soggetto (lirica) e narratività (corale, dove
l’io è solo uno dei vari personaggi di una storia possibile). Queste due
pulsioni sono fuse, da sempre, in un unico registro, che però si sviluppa a
partire da due punti di osservazione differenti: quello della concretezza e
quello dell’astrattezza. Oppure, se si preferisce, tra particolare e generale,
il tutto senza alcuna soluzione di continuità, ma tramite accostamenti,
sequenze dirette. Accade quasi ad ogni pagina di questo libro.
Forse se ne possono spiegare le
ragioni in quella ricerca, tutta etica, di “esemplarità” che mi pare la più
autentica ambizione di Toni. È un’esemplarità che si trascina sulla soglia
dell’allegoria senza mai varcarla del tutto, per approdare subito dopo a un
profondo sentimento di realtà, a un bisogno di ritrovarsi dentro le coordinate
consuete. È in questa tensione che si fonda l’ipotesi di romanzo a cui
Santagostini allude. Ci sono nomi, personaggi, perfino un tu con cui
costantemente dialogare. Si avverte, dietro ogni poesia, la presenza di un
dolore che non sa risolversi solo nel privato, ma che vuole essere condiviso, e
dunque farsi voce corale, esperienza di tutti: «attesa», dunque, vigilia»
(lessico ermetizzante) che cessino trappole e assedi e un nuovo tempo si
presenti con tutto il «viatico del non accaduto».
Alberto Toni, Vivo così,
introduzione di Mario Santagostini, Nomos 2014, e. 14.00.
Se con animo lieto un passo
intorno al mondo
fosse l’anello ritrovato,
distribuito come campione
d’amore.
Tienimi per quel giro stabilito:
presto,
nel tempo di natura vorrei stare.