Poesia
Nel
«Solstizio» di Deidier
con
Mosè, muse e trapezisti
Alessandra Pacelli
«Nel pieno della notte ognuno
attende / la sua aurora boreale». È con grande compostezza ed equilibrio
formale che Roberto Deidier dà forma alle inquietudini, all’analisi interiore
di figure di altri in cui si specchia, in cui cerca il senso dell’essere uomo.
Come il trapezista a cui dedica nove poesie: colui che ha scelto l’aria alla
terra, sempre in bilico, che traffica con il vuoto, una sorta di Barone
Rampante traslato in un circo. Oppure gli «incontri in differita» con Mosè,
Abramo, Rut, il bellissimo doppio ritratto che Davide e Golia si rimandano l’un
l’altro, Salomone («Non mi accorgevo che ogni giorno / era una perdita e non una
conquista», profeti e patriarchi tutti ripescati da «La fossa dei leoni». E poi
la sezione dedicata a una Musa forse in fuga, che in extremis cerca di
richiamare a sé e alla quale confessa: «Non ho che questi versi da
intrecciarti». Insomma è un libro denso e maturo questo Solstizio (Mondadori, pagg. 165, euro 16), che in modo pacato ed
elegante conduce il lettore a guardare oltre la cornice immateriale dei nostri
precipizi. Tra le righe c’è il desiderio di abitare la vita senza riuscire a
farlo fino in fondo, forse frenati dalla paura di avere paura, dalle ferite che
rinascono o dalla consapevolezza desolante della propria finitudine: «Sono
fermo non so dove e non ho occhi».
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